Sommario:
Il blocco della perequazione ha violato
l’ art. 6 della CEDU
Il blocco della perequazione 2012/13, presentava numerosi profili di illegittimità costituzionale secondo il diritto italiano (vai all’ apposita pagina “le nostre difese in Corte Costituzionale”), purtroppo respinte dalla Corte Costituzionale con una sentenza assai criticabile, la n. 250/17.
In ogni caso è stata già evidenziata la violazione del diritto europeo, in particolare la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo (art. 6).
Abbiamo preparato il ricorso alla Corte Europea di Strasburgo.
Di seguito trascriviamo le sentenze sui casi precedenti più significativi di Strasburgo.
Un elenco completo e dettagliato dei precedenti può essere consultato in un’ altra apposita pagina del sito (clicca qui).
Il diritto al giusto processo secondo Strasburgo
Sono numerosi ormai i precedenti di Strasburgo che condannano lo Stato italiano per aver emanato leggi di interpretazione autentica in violazione dell’art. 6 della CEDU.
Vediamo questi esempi di condanna dello Stato italiano.
La vicenda pubblicata dal Sole 24Ore
Il Sole 24Ore di recente ha dato notizia di una importante sentenza (clicca qui):
“È la Corte europea dei diritti dell’uomo a intervenire con la sentenza depositata ieri relativa a otto ricorsi presentati contro l’Italia per le cosiddette «pensioni svizzere» (ricorso 21838/10), con la quale Strasburgo si è pronunciata, dopo aver già accertato la violazione italiana con la sentenza del 15 aprile 2014, stabilendo l’entità dell’indennizzo dovuto dall’Italia ai ricorrenti.
La sentenza di ieri non solo incide subito sulle casse dello Stato visto che nel complesso il Governo dovrà versare 871mila euro a cui aggiungere 96mila euro per i danni morali, ma è destinata ad avere un peso anche su ricorsi analoghi già pendenti in Italia”
La sentenza è quindi di ottimo auspicio per il nostro ricorso.
Clicca qui per scaricare la sentenza della Corte europea diritti dell’uomo del 15/04/2014 n. 21838.
Le pensioni complementari del Banco di Napoli
Si trattava di una causa assai rilevante fra i pensionati ed il Banco di Napoli (del valore di circa 2.000 miliardi delle vecchie lire).
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite diede ragione ai pensionati (sent. 9023/01).
Il Parlamento però, per dare torto ai pensionati, inserì un apposito comma (55) alla legge 243/04. Questo comma smentiva la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, e quindi i pensionati, che attendevano solo la quantificazione delle loro spettanze, subirono inaspettatamente il rigetto della loro domanda in base alla nuova legge di interpretazione autentica, con la ulteriore beffa della condanna alle spese.
La vicenda sembrò davvero scandalosa, e la Corte di Cassazione denunciò alla Corte Costituzionale la suddetta legge di interpretazione autentica (Ord. Cass. 12/10/2007 n. 21439).
Inaspettatamente, però, la Corte Costituzionale, con la sentenza 07/11/2008 n. 362, respinse l’eccezione di legittimità sollevata dalla Cassazione.
Finalmente la Corte di Strasburgo fece giustizia di questa imbarazzante vicenda e condannò (non la Banca, ma) lo Stato Italiano per violazione del diritto all’ equo processo ex art. 6 della Cedu.
Si tratta di un nutrito gruppo di sentenze, di cui risulta pubblicata ad esempio la decisione del 14 febbraio 2012 – Ricorso n.17972/07 – Arras e altri c. Italia (1) .
La triste vicenda degli emotrasfusi con sangue infetto
Anche in questo caso lo Stato italiano venne condannato per una legge di interpretazione autentica che aveva violato i principi del giusto processo.
Nella sua sentenza 03/09/2013 n. 5376, la Corte di Strasburgo così motivò (2) :
– se, in linea di principio, il potere legislativo può regolamentare in materia civile, con nuove norme a portata retroattiva, i diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’articolo 6.1 si oppongono, a meno che non sussistano imperiosi motivi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare l’esito giudiziario della lite;
– il principio della certezza dei rapporti giuridici …. vuole, tra l’altro, che la soluzione data in maniera definitiva a qualsiasi lite dai tribunali non sia più rimessa in causa.
La giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato
Anche la Cassazione, assai di recente, ha accolto questi principi, ed ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità di una legge di interpretazione autentica in base ai principi così espressi nell’ordinanza 12/04/2016 n. 7135 (3) .
Infine, anche il Consiglio di Stato ha di recente posto in evidenza la rilevanza del giudicato nell’ art. 6 della CEDU.
Si veda in proposito: Consiglio di Stato 11/09/2013 n. 4499:
“secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (espressamente richiamata da Cons. Stato, VI, 12 dicembre 2011, n. 6501):
– il diritto al processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo comprende, in quanto diritto ad un giudice, il diritto all’esecuzione del giudicato; l’esecuzione del giudicato va perciò riguardata come una parte integrale del processo ai sensi dell’art. 6 (CEDU, 19 marzo 1997, Hornsby v.Grecia; CEDU, 18 novembre 2004, Zazanis v. Grecia);
– il diritto al processo sarebbe illusorio se non vi fossero strumenti per dare esecuzione al giudicato (CEDU, 18 novembre 2004, Zazanis v. Grecia);
– l’esecuzione di un giudicato non può essere indebitamente ritardata (CEDU, 28 luglio 1999, Immobiliare Saffi v. Italia).
Questi principi sono ancora più applicabili al caso di specie, in cui si è addirittura in presenza di un giudicato costituzionale ex art. 136 Cost.
La violazione del giudicato costituzionale (art. 6 della CEDU)
Vi è stata violazione del diritto all’equo processo garantito dall’art. 6, comma 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Il Tribunale di Cuneo, con Ordinanza del 18 novembre 2016, ha dichiarato che il blocco della perequazione ha violato l’ art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo.
” Con il decreto legge 65/15 è stata dunque frustrata la tutela giurisdizionale del cittadino, e quindi il suo diritto ad un equo processo, che, nel caso di specie, consisteva nel vedersi applicare la disciplina della perequazione delle pensioni risultante dalla declaratoria di incostituzionalità, affidamento del tutto legittimo (poiché basato sulle rispettive competenze degli organi dello Stato nonché sulla certezza giuridica di cui il rispetto del giudicato – tanto più il giudicato costituzionale – costituisce componente fondamentale), che è stato invece disatteso.
Ciò appare in contrasto con l’art. 6, comma 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo“
E’ infatti orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza della CEDU che costituisce una violazione del diritto all’equo processo anche solo una legge retroattiva di interpretazione autentica, salvo che sia giustificata dall’ interesse generale alla rimozione di una situazione di incertezza giuridica (e purchè nei limiti della ragionevolezza).
Nel caso di specie la situazione è ancora più grave: dopo la dichiarazione di incostituzionalità la norma caducata semplicemente non c’è più, e quindi non vi è alcuna incertezza interpretativa da risolvere, poiché si tratta solo di prendere atto della sua invalidità.
Pertanto non vi è alcuno spazio per un intervento “interpretativo” e soprattutto retroattivo del legislatore, che neppure può invocare l’interesse pubblico a dirimere una situazione di incertezza interpretativa.
Il legislatore, quindi, con il D.L. 65 del 2015 non si è limitato ad “interpretare” una norma preesistente, ma addirittura ha ripristinato con efficacia retroattiva una norma dichiarata incostituzionale. E’ ovvio, però, che nessuna tutela giurisdizionale è possibile per il cittadino che dapprima si veda dichiarare la incostituzionalità di una norma dall’organo competente (la Corte costituzionale), ma successivamente si veda ripristinare retroattivamente quella stessa norma da una legge che mira soltanto ad aggirare il giudicato costituzionale.
Né potrebbe concepirsi un bilanciamento con asserite esigenze finanziarie, poiché con chiarezza la Corte di Strasburgo ha escluso che le esigenze finanziarie possono giustificare un tale limite al diritto dell’uomo ad avere un giusto processo. Si veda la sent. 03/09/2013 n. 5376, ove si censura la norma impugnata poiché “ha così fornito un’interpretazione autentica della l. n. 210 del 1992 in senso favorevole allo Stato, non perseguendo uno scopo diverso da quello della salvaguardia degli interessi economici dello Stato, non corrispondente ad un “imperioso motivo di interesse generale”).
Nel caso di specie la violazione dell’art. 6 della CEDU è talmente grave che pare non sia neppure possibile rinvenire dei precedenti giurisprudenziali specifici, tanto è abnorme in questo caso la violazione del diritto UE.
E’ invece possibile ricostruire il consolidato orientamento giurisprudenziale sui limiti delle leggi di interpretazione autentica alla luce del diritto all’ equo processo ex art. 6 CEDU.
NOTE
1) “44. Il problema sollevato nel caso di specie è fondamentalmente quello di un processo equo, e nel parere della Corte, la responsabilità dello Stato è impegnata sia in qualità di legislatore, se inficia la prova o influisce sul risultato giudiziario della controversia, sia nella sua capacità qualità di autorità giudiziaria in cui viene violato il diritto ad un equo processo, anche nei casi di diritto privato tra privati (cfr. Vezon, cit § 30, e Ducret, citata sopra, § 34).
45. La Corte ribadisce che quanto concerne le controversie riguardanti i diritti civili e gli obblighi, la Corte ha stabilito nella sua giurisprudenza il requisito della parità delle argomentazioni nel senso di un giusto equilibrio tra le parti. Nel contenzioso che coinvolge interessi privati contrapposti, l’uguaglianza implica che a ciascuna parte deve essere garantita una ragionevole possibilità di presentare il suo caso, in condizione che non la pongano in una situazione di netto svantaggio nei confronti del suo avversario (v., in Raffinerie greche Stran, citata , § 44 e Forrer-Niedenthal contro Germania, no. 47316/99, § 65, 20 febbraio 2003).
46. Nel caso di specie, la Corte rileva che la legge n. 243/04 non riguardava decisioni divenute definitive e si stabilì una volta per tutte i termini delle controversie pendenti dinanzi ai tribunali ordinari a posteriori. Così, la sua emanazione in realtà ha determinato la sostanza delle controversie e l’applicazione di esso da parte dei vari tribunali ordinari e ha reso inutile per un intero gruppo di individui nella qualità dei ricorrenti di proseguire il contenzioso.
47. In tali circostanze, la Corte ritiene che non si può dire ci sia stata parità tra le due parti poiché lo Stato si pronunciò a favore di una delle parti, quando fu emanata la normativa contestata.
48. La Corte ribadisce, inoltre, che solo ragioni imperative di interesse generale potrebbe essere in grado di giustificare l’interferenza da parte del legislatore. Il rispetto dello Stato di diritto e la nozione di un processo equo richiedono che tutte le ragioni addotte per giustificare tali misure siano trattati con il massimo grado possibile di cautela (vedi Raffinerie greche Stran, citata supra, § 49).
49. La Corte rileva che i tribunali nazionali erano applicati in modo coerente alla giurisprudenza a favore dei ricorrenti, e questo è stato confermato anche dalla Corte di cassazione nella sua più alta formazione, quindi non si può dire che non ci siano stati divergenze in giurisprudenza come sostenuto dal Governo. Per quanto riguarda la loro tesi che la legge si era resa necessaria per realizzare un sistema omogeneo pensionistico, in particolare abolendo un sistema che ha favorito alcuni rispetto ad altri, mentre la Corte accetta questa come una ragione di interesse generale, non si è convinti che si tratti di tesi abbastanza convincenti per superare i pericoli insiti nell’uso di una legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia pendente. Il governo non ha presentato altri argomenti in grado di giustificare tale intervento a favore del Banco di Napoli.
50. In conclusione, tenendo presente quanto sopra, non vi era alcuna ragione di interesse generale in grado di giustificare l’intervento legislativo che si applica retroattivamente e ha determinato l’esito dei procedimenti pendenti tra privati.
51. Vi è stata quindi una violazione dell’articolo 6 § 1”.
2) 59. Per quanto riguarda il motivo basato sull’articolo 6 § 1, la Corte richiama la sua giurisprudenza secondo la quale se, in linea di principio, il potere legislativo può regolamentare in materia civile, con nuove norme a portata retroattiva, i diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’articolo 6 § 1 si oppongono, a meno che non sussistano imperiosi motivi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare l’esito giudiziario della lite (Raffineries grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 49, serie A n. 301 B; Papageorgiou c. Grecia, 22 ottobre 1997, § 37, Recueil des arrêts et décisions 1997 VI; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Recueil des arrêts et décisions 1997 VII, Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia [GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, § 57, CEDU 1999 VII, Agrati e altri c. Italia, nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, § 58, 7 giugno 2011 e Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 43, 31 maggio 2011).
60. Inoltre, la Corte rammenta che il diritto ad un processo equo dinanzi a un tribunale, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, deve essere interpretato alla luce del preambolo della Convenzione che enuncia come la preminenza del diritto sia un elemento del patrimonio comune degli Stati contraenti. Uno degli elementi fondamentali della preminenza del diritto è il principio della certezza dei rapporti giuridici che vuole, tra l’altro, che la soluzione data in maniera definitiva a qualsiasi lite dai tribunali non sia più rimessa in causa (Brumărescu c. Romania [GC], n. 28342/95, § 61, CEDU 1999 VII).
3 ) “Il dubbio di legittimità emerge, sotto il primo profilo, in relazione al difetto di una situazione di oggettiva incertezza, sussistendo in materia un orientamento giurisprudenziale in senso opposto a quello espresso dalla norma di interpretazione autentica e fondato sul necessario riferimento sistematico ai criteri di delega nonchè sulla generale prassi applicativa della norma, orientamento tale da escludere che la stessa sia valsa ad asseverare una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto di interpretazione, con conseguente superamento dei limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi individuati dalla Corte costituzionale e da questa ritenuti a presidio di fondamentali valori di civiltà giuridica a loro volta posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, da cui discende la dedotta violazione dell’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 1, e art. 102 Cost..
[….] la norma medesima viene ad interferire con le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario in spregio al principio sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, che vieta l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia per influenzare la soluzione di particolari controversie, integrando, pertanto, il dedotto contrasto con i parametri costituzionali di cui all’art. 24 Cost., comma 1, artt. 102 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU.