La proposta di legge sul taglio delle pensioni superiori a 4000 euro


Print Friendly, PDF & Email

E’ stata presentata il 6 agosto alla Camera la proposta di legge n. 1071 sul taglio alle c.d. pensioni d’oro, ovvero quelle di importo superiore ad Euro 4.000 mensili, o meglio a Euro 80.000 annue lorde.

Il testo integrale della proposta può essere scaricato cliccando qui

L’iter parlamentare può essere seguito cliccando qui.

Si tratta di una proposta che, obiettivamente, ricalca le posizioni espresse il 12 giugno 2013 dal Ministro Fornero nella sua lettera al Corriere della Sera dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 2013 che aveva dichiarato incostituzionale il contributo di solidarietà sulle c.d “pensioni d’oro” degli anni 2011 / 2013.
Anzi, questa proposta di legge aggrava la stessa Legge Fornero, poichè il contributo di solidarietà durerà per tutta la vita del pensionato e del suo coniuge superstite, e non solo per tre anni (come prevedeva la Legge Fornero).

La proposta di legge è  oggetto di un vivace dibattito, e da ultimo ha registrato una pesante critica addirittura da un esperto considerato molto vicino a Salvini, il Prof. Alberto Brambilla, sulla rivista on line “Itinerari Previdenziali”.

Per completezza vogliamo segnalare che in Senato è stata presentata altra proposta di legge a firma di senatori del gruppo Fratelli d’Italia presentata in data 8 maggio 2018 (Atto Senato n. 345), che prevede il ricalcolo con il metodo contributivo di tutte le pensioni, anche complementari, superiori a dieci volte la minima.
Alla camera dei Deputati è stata presentata altresì la Scheda Tecnica di lettura degli Uffici Parlamentari.

Sulla complessa problematica del contributo di solidarietà sulle pensioni abbiamo già scritto in passato numerose pagine e articoli sul nostro sito, consultabili cliccando qui.

Gli aspetti di politica economica

La relazione alla proposta di legge afferma testualmente che “le risorse che verranno liberate in esito a questo ricalcolo saranno destinate all’integrazione delle pensioni minime e delle pensioni sociali, elevando i trattamenti che oggi si attestano intorno ai 450 euro mensili fino alla soglia dei 780 euro”.

Si tratta, osserviamo noi, di un obiettivo sacrosanto, ma non è certo questo il modo di raggiungerlo.

Infatti secondo le statistiche ufficiali dell’ INPS per l’ anno 2017, le pensioni minime sono complessivamente  3.038.113, per un importo medio di euro 497,87.
La spesa complessiva annua nel 2017 ammontava quindi ad oltre un miliardo e mezzo di euro (e precisamente euro  1.512.585.319,31).
Per elevare queste pensioni da euro 497,87 a euro 780, occorrerebbe una spesa complessiva di euro  2.369.728.140,00, con una differenza da reperire di ulteriori euro 857.142.820,69.
Il precedente contributo di solidarietà della Legge Fornero, aveva reso complessivamente allo Stato in ben tre anni solo 84 milioni.
Scrisse infatti Il Sole 24 Ore, in data 6 giugno 2013, dopo la sentenza di incostituzionalità del prelievo: “Un risultato che alla finanza pubblica costa 84 milioni, cioè i risparmi netti (in termini lordi la cifra è di 150 milioni di euro, ma il contributo di solidarietà lima l’imponibile fiscale)”.
D’altra parte gli interessati erano esattamente 37.454, che non potevano certo da soli supportare tutte le pensioni minime di 3.038.113 pensionati, in un rapporto di 1 a 81.

Per un’analisi della problematica vedi anche su Repubblica del 23 giugno 2018: “I pensionati d’oro sono troppo pochi per la promessa di Di Maio“.

Secondo invece le stime di Tabula, la società di consulenza previdenziale di Stefano Patriarca (Sole24Ore del 27 luglio) il ricalcolo potrebbe toccare tra i 75mila assegni e i 100mila soggetti, e produrre tra i 300 e i 600 milioni di risparmi.

Il contenuto e l’ ambito applicativo della proposta

La proposta di legge, al momento, è redatta tecnicamente piuttosto male, lasciando parecchi punti oscuri.

L’ ambito applicativo

La proposta all’ art. 1 si riferisce testualmente ai trattamenti “a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria”.
Sembra chiaro che la proposta si riferisca alle pensioni dei lavoratori dipendenti, nonchè a quelle erogate dall’ INPS per commercianti ed artigiani.
Sembra anche chiaro che non si applica alle pensioni integrative o complementari erogate dai Fondi Pensione privati.
Si applica anche:
– alle forme sostitutive (essenzialmente il Fondo INPGI dei Giornalisti)
– alle forme esclusive (essenzialmente lo Stato, anche se peraltro l’ INPDAP è ormai passato all’ INPS)
– alle forme esonerative, che peraltro non esistono più dal 1990.
Non è chiaro se si applichi alle Casse Privatizzate dei liberi professionisti: in questo senso il Sole 24Ore.

La tipologia delle pensioni

La proposta di legge si applica a (quasi) tutti i tipi di pensione, sia anteriori che successive al 1° gennaio 2019:
– Pensione diretta
– Pensione di reversibilità

Non si applica invece alle pensioni di invalidità, e a quelle a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche.
Infatti l’ art. 5 così stabilisce: “Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni di cui all’art 1 le pensioni di invalidità, i trattamenti pensionistici di invalidità di cui alla legge 12 giugno 1984 n. 222, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e i trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche, di cui alla Legge n° 466/1980 e successive modificazioni e integrazioni”.

L’ importo lordo e netto

La proposta si riferisce dapprima ad euro 4.000 mensili (nette), poi indicate come euro 80.000 annue lorde. Si tratta di una indicazione approssimativa.
Prendendo comunque come criterio attendibile la somma annuale di euro 80.000 annue, che divise per 13 mensilità portano a euro 6. 153,85 lorde, si ottiene una somma al netto di irpef ( 2.078,91) di euro 4.074,94, che diventano 3.811,24 sottraendo le addizionali regionali e comunali.
La fonte di questo calcolo è il sito www.pensionioggi.it all’ apposita pagina di calcolo.

Il cumulo di più pensioni

Cosa avviene nel caso di una persona vedova che sia titolare sia della propria pensione diretta che di quella di reversibilità ?
Le due pensioni andranno sommate ai fini del calcolo.
Infatti la proposta stabilisce testualmente (art. 1, n. 5) che: “In caso di titolarità di più pensioni, il ricalcolo di cui al presente articolo va applicato alle quote retributive del reddito pensionistico complessivo lordo superiore a 80 mila euro”.

Il ricalcolo della pensione

Cosa succede per le pensioni eccedenti gli 80.000 euro annui ?
Non verranno tagliate automaticamente, ma verranno “ricalcolate”.
Tale ricalcolo, a ben vedere, NON avverrebbe affatto con il metodo contributivo (quello introdotto in Italia dalla Riforma Dini del 1995 e poi generalizzato per tutti i lavoratori dalla Legge Fornero a decorrere dalle anzianità successive dal 2012).
Verrebbe usato un altro metodo, basato sul ricalcolo del “coefficiente di trasformazione“.
Come si legge nello studio citato del Prof. Brambilla )”Osservazioni sulla proposta di ricalcolo delle pensioni oltre 4.000 euro netti al mese o 80.000 euro lordi l’anno”), “non è assolutamente un ricalcolo ma solo una riduzione delle pensioni basata sul rapporto tra i coefficienti di trasformazione relativi alle età di pensionamento effettivo e quelli relativi alle età di pensionamento stabilite nella tabella A, allegata al PdL; in pratica tutta l’operazione è basata esclusivamente sulle età di pensionamento con forti penalizzazioni per le pensioni di anzianità e quelle con 40 anni di contributi. Tutto ciò implica una rimodulazione delle “regole” in modo retroattivo”.

Così si legge nell’ art. 1 della proposta di legge:
2. La rideterminazione si applica anche ai trattamenti pensionistici diretti aventi decorrenza anteriore alla data del 1° gennaio 2019. In tali casi le quote retributive sono ridotte alla risultante del rapporto tra il coefficiente di trasformazione vigente al momento del pensionamento relativo all’età dell’assicurato alla medesima data e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età riportata nella tabella A allegata alla presente legge per ciascun anno di decorrenza della pensione.
Si tratta di una problematica contabile assai complessa, su cui si può leggere un ottimo articolo sul sito Pensioni Oggi (clicca qui).
Su questo sito viene pubblicata una accurata tabella delle perdite che verrebbero subite in base all’ età di pensionamento.

Vi è comunque una clausola di salvaguardia: il ricalcolo non potrà ridurre pensioni o vitalizi al di sotto della soglia degli 80mila euro lordi annui, perequazioni comprese.

La destinazione delle somme trattenute ai pensionati

La proposta di legge stablisce che le somme trattenute dall’ INPS non debbano restare nelle sue casse, ma invece debbano essere versate ad un apposito fondo presso il Ministero del Lavoro.
Così stabilisce l’ art. 3:

Art. 3 – (Istituzione del “Fondo Risparmio”)
1. Presso il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, è istituito un “Fondo risparmio” nel quale confluisce il risparmio ottenuto dal ricalcolo di cui agli articoli 1, 2 e 3.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle Politiche sociali , di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di attuazione e gestione del Fondo di cui al comma 1, nonché la destinazione degli aumenti riguardanti le pensioni minime e le pensioni sociali fino alla capienza dei risparmi ottenuti.

La incostituzionalità della proposta di legge

La proposta di legge nella sua Relazione mostra una grande preoccupazione per i futuri ricorsi alla Corte Costituzionale (e, aggiungiamo noi, alla Corte Europea di Strasburgo).
Secondo noi questa proposta di legge è chiaramente incostituzionale, alla luce delle precedenti sentenze della Corte Costituzionale sul contributo di solidarietà.
In particolare vanno richiamate la sentenza n. 116 del 5 giugno 2013 e la sentenza n. 173 del 13 luglio 2016.

I profili sono essenzialmente due.
Sono violati gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, perchè non solo viene decurtata la pensione in maniera grave, ma soprattutto questo avverrà per tutta la vita del pensionato, mentre la Corte aveva già considerato “al limite” un blocco di soli tre anni.
– Le somme prelevate non resterano nelle casse dell’ INPS, ma verranno incamerate dal Ministero (sia pure in un fondo separato) assumendo così la natura di prelievo tributario applicato alla sola categoria dei pensionati, in violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

Esaminiamo questi due profili alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale.

La sentenza n. 173 del 13 luglio 2016.

Si veda in particolare questo passo della sentenza n. 173 del 13 luglio 2016:

“11.1. – In linea di principio, il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.) […] in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato (sentenze n. 69 del 2014, n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis).
[…]

un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza.
[…]
In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum.
11.2. – Tali condizioni appaiono, sia pur al limite, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame.”

La proposta di legge, nella sua Relazione, si mostra preoccupata di questa sentenza e ne parla diffusamente, dimenticando però le sue fondamentali affermazioni, secondo cui il prelievo:
– “non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”
– deve “essere comunque utilizzato come misura una tantum”.

Invece la Relazione trascura di confrontarsi con queste affermazioni e afferma solo che:
A tale proposito sembra evidente il carattere di non arbitrarietà, ragionevolezza e proporzionalità delle misure di ricalcolo applicate alle cc. dd. pensioni d’oro, in ragione dell’intento teleologico che risponde pienamente al principio di solidarietà sociale cui è improntato il testo costituzionale. Esse possono essere considerate – come si è espressa la Corte costituzionale nella recente sentenza n° 173 del 2016 – una misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico e di sostegno previdenziale ai più deboli (…), imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, valutazione atta a conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato (sentenze n° 69 del 2014, n° 166 del 2012, n° 302 del 2010, n° 446 del 2002, ex plurimis).

La sentenza n. 116 del 5 giugno 2013

La sentenza n. 116 del 5 giugno 2013 aveva dichiarato incostituzionale il contributo di solidarietà degli anni 2011 / 13 perchè le somme prelevate andavano al bilancio generale dello Stato e quindi assumevano natura tributaria per i soli pensionati.
Così scrisse la Corte nella sua sentenza:
“Va infatti, al riguardo, precisato che i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti.
A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici”.
“L’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato l’ordinamento costituzionale.
In conclusione, il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio.

Per ogni approfondimento e per l’ analisi della sentenza e delle norme di legge vai all’apposita pagina.

Il contrasto con l’ art. 1 del Protocollo aggiuntivo
alla Convenzione Europea dei Diritti dell’ Uomo

Si possono aggiungere ulteriori rilievi alla luce del Protocollo aggiuntivo alla CEDU, il cui art. 1 così dispone:
Protezione della proprietà
Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

La Corte di Strasburgo ha già ritenuto che il credito relativo a una pensione può costituire un bene ai sensi del protocollo qualora abbia un sufficiente fondamento nel diritto interno.
Si veda fra le tante la sentenza Stefanetti contro Italia del 2014, a pag. 49

Questo argomento, però, è assai complesso e richiede una specifica trattazione che faremo in un altro articolo.

Primi commenti alla proposta di legge