Sommario:
La Corte d’ Appello di Firenze, con sentenza del 16 gennaio 2014, ha stabilito che un Accordo Sindacale non può trasferire un Fondo Pensioni, nè può abolire la reversibilità e la perequazione automatica.
La sentenza è stata resa in causa patrocinata dal nostro Studio ed è stata promossa dall’ Associazione Pensionati di Firenze.
Il testo della sentenza può essere scaricato da questo link.
La sentenza ha così motivato:
“Nel merito, già si è osservato che tutti gli odierni appellati hanno conseguito il diritto a pensione complementare in data anteriore al luglio 2009 (o sono aventi causa di pensionati in detta condizione).
In diritto, è noto che, in tema di riordino delle “forme pensionistiche complementari”, l’ art. 18, comma 7, d. leg.vo 21.4.1993, n. 124, fra l’ altro dispone :
“…….In presenza di squilibri finanziari delle relative gestioni le fonti istitutive di cui all’art. 3 (“contratti e accordi collettivi anche aziendali” n.d.r.) possono rideterminare la disciplina delle prestazioni e del finanziamento per gli iscritti che alla predetta data non abbiano maturato i requisiti previsti dalle fonti istitutive medesime per i trattamenti di nature pensionistica”.
E la giurisprudenza di legittimità ha così interpretato la fonte appena citata:
“….a norma dell’ articolo 18, comma 7, del decreto legislativo numero 124 del 1993, in presenza di squilibri finanziari della gestione di fondi di previdenza complementare costituiti per contratto collettivo, la stessa contrattazione può rideterminare la disciplina delle prestazioni e del finanziamento per gli iscritti al fondi che, alla data di entrata in vigore del citato provvedimento, non abbiano maturato i requisiti prima previsti per i trattamenti pensionistici integrativi. Pertanto la disciplina collettiva successiva, peggiorativa di quella precedente, non può incidere negativamente sulla posizione di coloro che avendo maturate i requisiti ed esercitato il relativo diritto, hanno ormai conseguito il trattamento pensionistico, né sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requisiti, non hanno ancora esercitato il relativo diritto…” (Cass. 19.3.2003, n. 6361, F.L. a altri c. Fondo Pensioni Credito Agrario Bresciano).
In questa prospettiva, giova notare che il perfezionarsi del diritto si ha con il conseguimento del trattamento pensionistico: avendo il lavoratore cessato la sua prestazione, avendo egli maturato i requisiti di contribuzione e di età, ed avendo iniziato a percepire la pensione, quale rendita periodica in base alle norme pattizie.
Al riguardo Cass. 21.1.2000, n. 689, ha avuto occasione di ricordare:
“… la salvezza non soltanto dei diritti quesiti propri della previdenza obbligatoria ma anche di quelli della previdenza complementare di natura convenzionale e la non estensione del divieto di modificazioni peggiorative a tutti indistintamente gli iscritti risponde, in prima luogo, a principi costituzionali, quali si possono evincere dagli art. 2, 36 e 38 Cost., e, poi, al cennato principio di intangibilità dei diritti quesiti anche in terra di successione nel tempo dei contratti collettivi….”.
D’ altro canto, osserva il Collegio che la condizione soggettiva di colui che ha conseguito il diritto a pensione e ne sta fruendo secondo un dato statuto chene disciplina modalità ed ammontare, non è nemmeno paragonabile (come vorrebbe l’ appellante) a quella del lavoratore che, nel variare e nel bilanciarsi delle obbligazioni corrispettive, può vedere modificato il suo assetto di qualifica e di salario in forza del succedersi delle fonti collettive.
Ben diversamente, il lavoratore pensionato ha già completamente esaurito la sua prestazione sia lavorativa che contributiva e ciò ha fatto in base ad un quadro normativo ben determinato, che è lo stesso con il quale gli è stata attribuita e pagata la pensione, della quale sono definiti l’ ammontare nel tempo e le modalità di erogazione.
In tal senso, il diritto a pensione, cosi definito e riconosciuto, può dirsi entrato a far parte del patrimonio dell’ interessato, e non può essere oggetto di atti dispositivi da parte delle OO.SS.
D’ altro canto, il dibattito giurisprudenziale e dottrinale ha semmai riguardato 1a condizione dei titolari di una situazione previdenziale c.d. “in itinere”, ma non mai i titolari di una pensione in godimento: seppure continua ad essere mutevole la nozione di “diritti quesiti”, resta unanime e indiscussa la considerazione che il titolare di pensione vanti un diritto soggettivo perfetto (nozione che il Tribunale di Firenze ha correttamente posto a fondamento della decisione in esame).
In proposito, giova aggiungere che la giurisprudenza di legittimità, fin da epoca risalente nel tempo, ha statuito che i1 diritto del pensionato si estende anche alle modalità di calcolo e di adeguamento del trattamento pensionistico:
“sono diritti soggettivi perfetti sia il diritto alla pensione che, perfezionatosi al momento in cui si realizzano le condizioni prescritte dalla legge, acquista efficacia all’ atto del provvedimento di liquidazione, sia il diritto sulla pensione, che, una volta liquidato, è un preciso diritto di credito a prestazione periodica” onde “la disciplina applicabile alla pensione è quella stabilita dalle norme in vigore all’ atto della cessazione del servizio”;”se tali norme stabiliscono che (….le pensioni liquidate siano aumentate in corrispondenza di determinati parametri variabili, il diritto di pensione nasce con l’ impronta della variabilità nel suo contenuto quantitativo, che però non contrasta con la natura di diritto soggettiva perfetto ad una prestazione pecuniaria, determinata o determinabile, secondo criteri normativi, ed eventualmente anche negoziali, prestabiliti. Detto congegno di variabilità (a di parametrazione) si colloca come elemento del rapporto di credito e da questo esclusivamente riceve qualificazione”.
In definitiva, affermano le Sezioni Unite che le norme sopravvenute per modificare, sia pure ex nunc, la preesistente disciplina della perequazione sarebbero pertanto del tutto irrilevanti per i dipendenti già in pensione; (vedi Cass. SU 28.9.1968, n. 2995).
Ed è noto che la Corte Costituzionale impone limiti assai rigorosi pur anche al legislatore ove intenda intervenire a modificare “in peius” l’ ammontare e l’assetto normative di trattamenti pensionistici già in godimento degli interessati (fra le altre, v. sent. 349/1985 relative alla modifica da trimestrale a semestrale di meccanismo perequativo).
Ritiene pertanto il Collegio che sia immune da censure la decisione del giudice del lavoro fiorentino che ha ritenuto non opponibile ai pensionati ricorrenti in prime grado sia il recesso del 27.7.2009 sia il successivo accordo 4.11.2009 e quindi illegittima sia la soppressione della perequazione della pensione sia la soppressione del trattamento di riversibilità a favore dei coniugi di soggetti pensionati da epoca anteriore al ricordato atto di recesso. Per conseguenza, anche l’iscrizione coattiva degli appellati al Fondo Banco, senza il loro consenso, comporta la indebita e non consentita sostituzione dell’ obbligato principale della prestazione pensionistica in capo ad un soggetto diverso dotato di distinta personalità giuridica (“ …il Fondo Banco assicura la continuità delle prestazioni all’ attualità percepite dai pensionati….”; punto 4.7 dell’ Accordo).
In definitiva, tutti i motivi di gravame devono essere rigettati”.
Anche in primo grado il Tribunale di Firenze aveva condannato la Banca. La relativa sentenza può essere scaricata da questo link.
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