Il blocco della perequazione 2012/13 presenta numerosi profili di illegittimità costituzionale già solo per le pensioni erogate dall’ INPS, per violazione:
– sia degli artt. 3, 36, 38 (clicca qui)
– sia dell’ art. 136 Cost. (clicca qui)
Qui è possibile scaricare tutte le Ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, che purtroppo vennero respinte con la sentenza n. 250/17, assai criticabile ed emessa a seguito di una sconcertante udienza del 24 ottobre visibile in video cliccando qui.
A questi profili di incostituzionalità, relativi all’ INPS, se ne aggiungono altri specifici, riferiti alle pensioni complementari o integrative, che sono pagate con denaro “privato” e non sono certo a carico del Bilancio dello Stato.
Anche in passato la Cassazione aveva ritenuto inapplicabili ai Fondi Complementari i blocchi della perequazioni stabiliti per l’ INPS.
Si vedano in proposito le sentenze scaricabili dall’ apposita pagina del nostro sito cliccando qui.
I profili di incostituzionalità per le pensioni complementari
Il Decreto Legge 65/15 appare del tutto estraneo ed inapplicabile rispetto alla pensione integrativa, essendo stato emanato dichiaratamente “nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica”, e quindi per la sola tutela del bilancio pubblico e non certo di quello privato.
Allo stesso modo nessun rilievo possono avere le prese di posizione dell’ INPS (tramite il Casellario generale delle pensioni), poichè l’ INPS è sfornito di poteri autoritativi e ha già perso la causa in Corte Costituzionale.
Si può quindi ipotizzare fondatamente che per i Fondi Integrativi il Giudice non debba nemmeno rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, ma condannare subito i Fondi.
Contro i Fondi Integrativi stiamo lavorando alle opportune iniziative in collaborazione con numerose Associazioni di Pensionati.
Nei nostri ricorsi sono state così sviluppate le nostre tesi e l’ ulteriore eccezione di incostituzionalità per le pensioni “private”:
1. Le domande di causa in via principale e subordinata sul D. L. 65/15
Abbiamo chiesto al Giudice di valutare dapprima, in via principale e sotto il profilo puramente ermeneutico, la corretta interpretazione della normativa di legge, per poter valutare se esiste un’interpretazione, magari costituzionalmente orientata (come quella da noi qui caldeggiata) che permetta di risolvere la controversia senza ricorrere all’intervento della Corte costituzionale.
È infatti noto che l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale ha l’onere di esplorare preventivamente la possibilità di una risoluzione della controversia senza l’incidente di costituzionalità, e che in difetto della motivazione su tale possibilità, l’ordinanza di rimessione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza.
In via e principale ed ermeneutica il ricorrente chiede quindi all’Ill.mo Giudice di accogliere le sue domande, relativamente agli anni 2012 e 2013, senza necessità di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, alla luce della sentenza n. 70 del 2015 i cui effetti non sarebbero stati paralizzati dal Decreto Legge 65 del 2015 per quanto attiene alle pensioni complementari, come si desume dal riferimento letterale dello stesso Decreto, e della relativa Relazione del Governo in Parlamento (doc. 7), sulle esigenze di pubblico bilancio.
In via subordinata, qualora si ritenesse che la controversia non potrebbe essere decisa in via ermeneutica, ma solo tramite l’incidente di costituzionalità, si chiede all’Ill.mo Giudice di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità come sopra esposta, per violazione degli articoli 3, 36, 38 (comma 2 e 5), 47 e 136 della Costituzione, nonché per violazione del principio di ragionevolezza.
2. La violazione degli artt. 136, 38 comma 5, e 47 Cost.
In aggiunta ai numerosi profili di incostituzionalità valevoli già solo per l’Inps, altri specifici se ne possono aggiungere per le pensioni complementari.
Il Decreto Legge n. 65 del 2015 risulta testualmente emanato a tutela del pubblico bilancio:
“Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica”.
Il Decreto Legge ha inoltre natura eccezionale ex art. 14 preleggi, poiché si pone come una grave deroga alla normale efficacia che l’art. 136 Cost. attribuisce alle sentenze della Corte Costituzionale.
Pertanto costituisce una norma insuscettibile di applicazione analogica, e di stretta interpretazione.
Inoltre se proprio si volesse “salvare” il Decreto Legge in questione lo si potrebbe fare – sia pure una grossa forzatura – soltanto per le pensioni pubbliche, invocando l’articolo 81 Cost. e le esigenze di pubblico bilancio, così come cercò di fare la Relazione del Governo in Parlamento (doc. 7).
Ma per i Fondi complementari privati, neppure sarebbe possibile questa forzatura, e quindi pertanto la violazione del giudicato costituzionale qui sarebbe platealmente evidente.
Nel nostro caso, cioè, sarebbe impossibile giustificare la (indubbia) violazione del giudicato costituzionale con il bilanciamento con altri valori costituzionali.
Anzi, in aggiunta, la incostituzionalità qui già eccepita per l’INPS è aggravata dal fatto che le pensioni complementari sono ulteriormente tutelate dall’art. 47 Cost. sulla tutela del risparmio e dall’art. 38, ultimo comma, sulla libertà della previdenza privata.
3. La problematica della sent. 393 del 2000 della Corte Cost. di asserita parificazione delle pensioni complementari a quelle INPS
Né si potrebbe invocare, come spesso malamente si fa, la sentenza n. 393 del 2000 della Corte Cost., che secondo le abituali difese delle Banche avrebbe (asseritamente) parificato, sotto il profilo costituzionale, le pensioni complementari a quelle pubbliche.
Si tratterebbe di un superficiale fraintendimento della portata di quella sentenza della Corte.
Per comprendere la effettiva portata della invocata sentenza C. Cost. 393/00, è bene tener presente la fattispecie normativa allora in esame, e le stesse argomentazioni adottate della Corte in quella sentenza.
In quella causa si discuteva della legittimità della norma che dal 1° gennaio 1998 vietava il pensionamento anticipato nella previdenza complementare, rispetto alla data prevista per la pensione INPS.
L’ art. 59, comma 3, della legge 449/97, infatti disponeva che:
“A decorrere dal 1° gennaio 1998 [….] il trattamento si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti dalla disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza”.
La Corte mise in rilievo come un pensionamento “privato” anticipato avrebbe sottratto un gettito contributivo alla previdenza pubblica, a causa dell’anticipata risoluzione dei rapporti di lavoro.
Inoltre osservò come il differimento ex lege della data di pensionamento presso l’INPS avrebbe accollato dei costi insostenibili ai fondi privati, che avrebbero dovuto in modo repentino accollarsi integralmente gli oneri pensionistici per un numero di anni che prima non era previsto.
Ma nulla di tutto questo troviamo nella fattispecie del blocco della perequazione previsto per le sole pensioni pubbliche.
Infatti:
– nessun gettito contributivo viene sottratto all’INPS, ed anzi al contrario il congelamento della pensione integrativa sottrae del gettito fiscale al bilancio pubblico;
– il fondo complementare non si accolla in alcun modo l’onere gravante sull’INPS.
La stessa Corte Costituzionale anzi, nella sent. n. 70/2015, ha ben chiarito al paragrafo n. 8 la che la previdenza complementare “contribuisce alla tenuta complessiva del sistema delle assicurazioni sociali (sentenza n. 393 del 2000) e, dunque, all’adeguatezza della prestazione previdenziale ex art. 38, secondo comma, Cost. Pertanto, il criterio di ragionevolezza, così come delineato dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti negli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive la discrezionalità del legislatore e vincola le sue scelte all’adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali“.