In caso di indebito il pensionato deve restituire il netto o il lordo?


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Il problema

Può capitare che il pensionato si trovi a dover restituire delle somme percepite dall’INPS o dal Fondo Pensione complementare.
In motivi possono essere i più vari:

  1. Si è proceduto ad un ricalcolo della pensione, soprattutto a quella di reversibilità
  2. una sentenza favorevole al pensionato viene poi riformata in appello o in Cassazione
  3. Si percepiscono le stesse somme sia dall’Inps che dal Fondo Pensione per qualche problema contabile.

La stessa questione può verificarsi per il lavoratore dipendente, magari perchè magari ha vinto in primo grado una causa di licenziamento ma poi l’ha persa in appello, con il conseguente obbligo di restituire gli stipendi percepiti nel frattempo.
In questi casi il pensionato ha percepito delle somme nette, ed l’INPS o il Fondo Pensione hanno trattenuto le imposte alla fonte e le hanno poi versate all’Agenzia delle Entrate, e quindi hanno sostenuto un costo lordo, ma il pensionato ha percepito solo il netto. Le stesse considerazioni valgono per il dipendente in servizio verso il datore di lavoro.
Quali somme si debbono restituire: il lordo od il netto ?
L’ Inps o il Fondo Pensione possono affermare di aver sostenuto un costo lordo, ma il pensionato può eccepire di aver riscosso delle somme nette.
Va ancora aggiunto che l’Agenzia delle Entrate è tenuta a restituire le imposte trattenute alle fonte e poi versate al fisco. Ma chi dovrà chiederne la restituzione, il pensionato oppure l’Inps od il Fondo Pensione ?
Il problema non è affatto semplice, ed ha avuto soluzioni contrastanti.
Va subito detto che l’INPS o i Fondi Pensione (ed anche le aziende) pretendono sempre che vengano loro restituite le somme lorde, lasciando al pensionato / lavoratore l’onere di chiedere all’Agenzia delle Entrate la restituzione delle imposte versate.
Ma questo è legittimo ?
No, non è legittimo, come subito vedremo. Ma il problema non è semplice.

L’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate

La legge prevede la possibilità che si possa chiedere il rimborso delle imposte versate in eccedenza.
La norma di legge è la seguente:
DPR 29/09/1973 – N. 602 – Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito
Art. 38 – Rimborso di versamenti diretti
Il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l’esattoria presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.
L’istanza di cui al primo comma può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata.

Come si vede l’istanza di rimborso può essere presentata da due diversi soggetti:
1. “Il soggetto che ha effettuato il versamento”, ovvero il sostituto d’imposta che ha operato le trattenute e poi le ha versate al Fisco, cioè in pratica l’ Inps, o il Fondo Pensioni, o il datore di lavoro;
2. il “percipiente delle somme assoggettate a ritenuta”, cioè il soggetto sostituito d’imposta, ovvero il pensionato / lavoratore.

Chi dovrà farlo dei due ?
Possono farlo entrambi, ed a questo punto possiamo capire meglio se le somme vadano restituite al netto ed al lordo.

L’orientamento dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate

L’ Inps ritiene che il pensionato sia tenuto a restituire il lordo, salvo poi presentare l’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate. Questo non è affatto giusto, perchè nel frattempo il pensionato può aver già speso le somme (nette) percepite, e dover restituire delle somme che non ha mai ricevuto.
L’Inps aveva affermato da molto tempo che la restituzione dovea avvenire al lordo (Circolare 17 gennaio 1984 n. 10).
L’ Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 110 del 29 luglio 2005 e successivamente con la risoluzione n. 71/E del 28 febbraio 2008, aveva affermato che “il recupero deve essere effettuato al lordo delle ritenute fiscali operate a carico del lavoratore” .

Cosa dice la Cassazione ?

La Cassazione ed i giudici di merito, da non molto tempo, hanno dato finalmente ragione ai pensionati e ai lavoratori.
Si vedano in proposito:
Cass., sez. Lav., 11 gennaio 2019, n. 517, che ribadisce il principio secondo cui il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore la restituzione di somme retributive indebitamente percepite al lordo delle relative ritenute fiscali, in quanto gli importi corrispondenti a dette ritenute non sono mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente. La Suprema Corte afferma quanto segue:
– è vero che legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute sono sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”), che il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”). In tal senso cfr. Cass. n. 16105/2015 e Cass. n. 5653/2014.
– La disposizione citata dell’art. 38, D.P.R. n. 602/73 prevede peraltro al 1° comma che in via principale sia il soggetto che ha effettuato il versamento a presentare istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate […];
peraltro, “il datore di lavoro non può pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali, allorché le stesse (somme corrispondenti alle ritenute fiscali) non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (…)” (in senso conforme Cass. 2.2.2012, n. 1464).
Diversamente, qualora si ammettesse la possibilità del datore di lavoro di chiedere al lavoratore la restituzione delle somme al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sua disponibilità patrimoniale, si avrebbe un aggravio ingiustificato per il lavoratore medesimo costretto a rifondere più di quanto concretamente ricevuto (v. Cass., 25 luglio 2018, n. 19735).

Ancora la sentenza della Cassazione n. 12933 del 24 maggio 2018 ha affermato che:
“nel rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro versa al lavoratore la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e, quando corrisponde per errore una retribuzione maggiore del dovuto, opera ritenute fiscali erronee per eccesso. Ne consegue che, in tale evenienza, il datore di lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente”.
Si veda ancora Cass. 4 settembre 2014, n. 18674; Cass. 11 gennaio 2006 n. 239; Cass. 26 febbraio 2002 n. 2844).

Anche il Consiglio di Stato è ormai così orientato: Consiglio di Stato, sez. 6 del 2.3.2009 n. 1164, Consiglio di Stato, sezione II adunanza 5 aprile 2017 (Parere su richiesta straordinaria, n. 991); Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2015 n. 5010; Consiglio di Stato, sezione III, 21 gennaio 2015 n. 198; Consiglio di Stato, sezione IV, 12 febbraio 2015 n. 750; Consiglio di Stato, sezione IV, 20 settembre 2012 n. 5043; Consiglio di Stato, sezione III, 4 luglio 2011 n. 3984 e n. 3982; id., sezione VI, 2 marzo 2009 n. 1164).

Il recente Decreto Rilancio n. 34 del 2020

Di recente su questa problematica è intervenuto il Governo nell’ambito dei provvedimenti sul Covid 19.
In particolare il Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34 (c.d. Decreto Rilancio), all’art. 150 ha ribadito che le somme vanno rimborsate al netto anzichè al lordo:
Articolo 150
Modalità di ripetizione dell’indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenute alla fonte a titolo di acconto

1. All’articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
“2-bis. Le somme di cui alla lettera d-bis) del comma 1, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili.”.

2. Ai sostituti d’imposta di cui all’articolo 23, comma 1 e all’articolo 29, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, ai quali siano restituite, ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le somme al netto delle ritenute operate e versate, spetta un credito d’imposta pari al 30 per cento delle somme ricevute, utilizzabile senza limite di importo in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle somme restituite dal 1° gennaio 2020. Sono fatti salvi i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

La Circolare dell’INPS

L’Inps ha finalmente emanato l’apposita circolare per ribadire questi principi.

Si tratta della Circolare n. 174 del 22 novembre 2021, con l’ Allegato 1 e l’Allegato 2

La diversa questione dei contributi versati all’Inps sulle retribuzioni non dovute

Nella sentenza Cass. n. 12933 del 24 maggio 2018, relativa ad un lavoratore dipendente delle Poste Italiane, si è altresì preso posizione sui contributi previdenziali verso l’Inps.
La Suprema Corte ha confermato che “in tema di obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie, il datore di lavoro – che ai sensi della L. n. 218 del 1952, art. 19 è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dei lavoratori che egli trattiene sulla retribuzione corrisposta ai medesimi – è direttamente obbligato verso l’ente previdenziale anche per la parte a carico dei lavoratori dei quali non è rappresentante ex lege, con la conseguenza che, in ipotesi di indebito contributivo, il datore è l’unico legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alle quote predette”. In caso di indebito contributivo, quindi, il datore di lavoro che ha effettuato le ritenute, quale responsabile diretto presso l’ente previdenziale anche per la parte a carico del lavoratore, è quindi l’unico legittimato a chiederne la restituzione all’ente previdenziale.