Contributo di solidarietà 2011 – 2013: l’Ordinanza di rimessione alla Corte


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Pubblichiamo qui di seguito l’ Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale che ha dato origine alla sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 2013, che ha dichiarato illegittimo il contributo di solidarietà per gli anni 2011 – 13.
La problematica è spiegata nell’ apposita pagina cliccando qui

Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale

ORDINANZA N. 230/2012

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA CAMPANIA

 

In composizione monocratica nella persona del Consigliere Rossella Cossaneti in funzione di Giudice unico delle pensioni ha pronunciato lo seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 64781/PC del registro di segreteria depositato in data 26-10-2011dal sig. Salvatore STARO, nato a Capua (CE) il 20-12-1932, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del ricorso, dall’avv. Luigi Adinolfi e con questi elettivamente domiciliato in Napoli alla via Po n. 1 (Parco Parva Domus) presso lo studio dell’avv. Stefano Sorgente, per lo riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento “nella sua interezza e con esclusione dell’applicazione delle norme del D.L. 31-05-2010 n. 78 convertito, con modificazioni, in L. 30-07-2010 n. 122”;

Esaminati i documenti e gli atti tutti della causa;

Udito alla pubblica udienza del giorno 31 maggio 2012 soltanto l’avv. Luigi Adinolfi il quale, depositate copie dell’ordinanza n. 89/2012 e della sentenza non definitiva n. 53/2012 del TAR Calabria a sostegno della prospettazione attorea, ha sinteticamente richiamato, altresì, i rilievi operati nel ricorso, insistendo perché venisse almeno parzialmente accolto e perché, comunque, venisse sollevata questione di legittimità costituzionale della disposizione di riferimento;

PREMESSO che

Con il ricorso indicato in epigrafe parte attrice, che ha evocato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’INPDAP (Sede Centrale di Roma e Sede Provinciale di Caserta) provvedendo altresì a riassumere in data 03-02-2012 l’atto introduttivo del giudizio nei confronti dell’INPS (subentrato all’INPDAP con decorrenza 01-01.2012 per effetto dell’art. 21 dello legge 22-12.2011 n. 214, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 20l, recante disposizioni urgenti per lo crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”), ha chiesto con ampie e diffuse argomentazioni, esponendo preliminarmente di essere stato collocato in quiescenza con decorrenza 21-12-2007 con la qualifica di Presidente di Sezione dello Corte dei conti, il riconoscimento del suo diritto, previa rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, a percepire il trattamento pensionistico ordinario nella sua interezza e senza l’applicazione dello decurtazione stabilita dall’art. 18, comma 22 bis. D.L. 06-07-2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15-07-2011 n. 111, con conseguente condanna delle amministrazioni resistenti alla corresponsione delle somme illegittimamente non erogate, con rivalutazione monetaria ed interessi, rilevandone il contrasto con varie disposizioni costituzionali.

L’INPDAP- D.R. Campania e Molise si è costituito in giudizio con nota inviata il 21- 10-2011 e reiterata il 16-04-2012, presentando altresÌ, per il tramite dell’Ufficio Avvocatura INPDAP, copie di documenti pensionistici relativi alla posizione in controversia, quali la determinazione di pensione n. NAO12007003747 ed alcuni prospetti contabili.

Lo Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha trasmesso in data 21-05-2012 gli atti liquidativi del trattamento di quiescenza del dott. Salvatore Staro adottati dal Segretariato Generale e inviati a suo tempo all’lNPDAP (ora INPS), ha poi prodotto in data 24-05-2012, per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, comparsa di costituzione e risposta, in cui ha chiesto il rigetto della domanda attrice, ritenendola inammissibile ed infondata, con l’ausilio di articolate controdeduzioni circa la manifesta infondatezza dei rilievi d’incostituzionalità dell’art. 18, comma 22 bis, D.L. 06-07-2011 n. 98. convertito, con modificazioni, in L. 15-07-2011 n. 111, proposti da parte attrice.

CONSIDERATO CHE

1. Il ricorrente, Presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21-12-2007, titolare di pensione diretta di importo superiore a € 90.000,00 annui, con il presente ricorso chiede -come già anticipato nella premessa in fatto- il riconoscimento del proprio diritto a percepire il trattamento pensionistico ordinario, da calcolare senza le decurtazioni introdotte dall’art. 18, comma 22 bis. D.L. 06-07-2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15-07-2011 n. 111, nonché la condanna dell’Amministrazione ai conseguenti pagamenti, se del caso con ogni accessorio di legge.

A sostegno del ricorso deduce l’illegittimità costituzionale del citato art. 18,  comma 22 bis, D.L. 06-07-2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15-07-2011 n. 111, per violazione degli artt. 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 108, 111 e 113 Cost.

La normativa contestata così dispone:

“In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto imporlo fino a 150.000 euro, nonché pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro: a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non può essere comunque inferiore 90.000 euro lordi  annui … La trattenuta relativa al predetto contributo di perequazione è applicata, in via preventiva  e salvo conguaglio a conclusione dell’anno di riferimento, all’atto della corresponsione di ciascun rateo mensile. Ai fini dell’applicazione della predetta trattenuta è preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato.  L’INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni, è tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari elementi per l’effettuazione della trattenuta del contributo di perequazione, secondo modalità proporzionali ai trattamenti erogati. Le somme trattenute dogli enti vengono versate, entro il quindicesimo giorno dalla data in cui è erogato il trattamento su cui è effettuato lo trattenuta, all’entrata del bilancio dello Stato”.

Lo disposizione dianzi riportata prevede, altresÌ, che alla determinazione degli importi complessivi dei trattamenti pensionistici concorrono “i trattamenti erogali da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, nonché i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni o statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, ivi compresa lo gestione speciale ad esaurimento di cui all’articolo 75 del decreto del Presidente dello Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nonché le gestioni di previdenza obbligatorie presso l’INPS per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale già addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette”.

RITENUTO CHE

2. Ritiene, anzitutto, il G.U. che sussiste la rilevanza della questione di costituzionalità sollevata nel presente giudizio, in quanto, non solo il gravame ha “un petitum separato e distinto dalla questione di costituzionalità, sul quale il giudice remittente sia legittimamente chiamato, in ragione della propria competenza, a decidere” (C. Cost., sentenze n. 4 del 2000 e n. 38 del 2009), ma soprattutto il petitum medesimo concerne il riconoscimento del diritto del ricorrente a conservare il proprio trattamento pensionistico senza le decurtazioni disposte dal citato comma 22 bis dell’art. 18, per cui, trattandosi di disposizioni di diretta ed immediata applicazione, sarebbe impossibile pervenire al riconoscimento di tale diritto, se non attraverso lo necessitata rimozione della norma attraverso la via della richiesta e correlata declaratoria di illegittimità costituzionale di tale disposizione normativa.

Se il G.U., invero, non dubitasse della compatibilità costituzionale della norma in esame rispetto ai precetti e principi della carta fondamentale, la pretesa di parte attrice dovrebbe senz’altro essere dichiarata infondata e respingersi in quanto le decurtazioni stipendiali qui censurate sono fissate direttamente ed inderogabilmente dalle stringenti ed inequivoche disposizioni di legge applicate doverosamente dall’amministrazione datrice di lavoro, senza alcuna possibilità di applicazioni od interpretazioni alternative.

Ritiene, inoltre, il GU, che le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 22 bis, D.L. 06-07-2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15-07-2011 n. 111 prospettate dal ricorrente, e comunque rilevabili d’ufficio, siano non manifestamente infondate sotto vari aspetti, per quanto oltre si dirà.

3. Va premesso che il D.L. n. 98/2011 è stato adottato, come espone in premessa, in considerazione della “straordinaria necessità ed emergenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria  e per il contenimento della spesa pubblica  al fine di ottemperare a quanto previsto dagli impegni presi in sede comunitaria, nonché di emanare misure di stimolo fiscale per favorire il rilancio della competitività economica”.

Nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica ed alla stabilizzazione finanziaria, si colloca, appunto, l’art. 18, relativo ad “Interventi In materia previdenziale “, che impone al pensionati pubblici sacrifici di considerevole entità. In sintesi, le previsioni sono le seguenti: aumento dell’età pensionabile delle donne dipendenti del settore privato e delle lavoratrici autonome; blocco della rivalutazione delle pensioni superiori a cinque volte il minimo, che avranno diritto ad una perequazione ridotta al 70% solo per lo fascia fino a tre volte il trattamento minimo; contributo “di solidarietà”, trattenuto dall’Ente erogatore del trattamento pensionistico, per i titolari di pensione superiore ai 90,000 € lordi annui (cd. “pensioni d’oro”: comma 22 bis, disposizione della cui applicazione di controverte); anticipo al 2013 dell’aumento dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita; posticipo della finestra mobile per i lavoratori che vanno in pensione di anzianità con 40 anni di contribuzione; riduzione delle pensioni ai superstiti; obbligatorietà della iscrizione dei pensionati con reddito da lavoro autonomo alle casse dei professionisti; vari criteri di interpretazione autentica che mettono fine al contenzioso intrapreso dai pensionati e dai lavoratori.

4. Occorre anzitutto osservare che “una norma così concepita appare configurarsi come prestazione patrimoniale imposta, ex art. 23 Cost., nonché come prelievo forzoso di natura tributaria, che dovrebbe essere rispettoso dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) correlati o quello di capacità contributiva (art. 53 Cost.).

Infatti, l’imposizione di detti nuovi sacrifici economici individuali è stata realizzata attraverso un atto autoritativo generale di carattere ablatorio e lo destinazione del gettito scaturente da tale ablazione concorre al fabbisogno finanziario dello stato sotto forma di risparmio di spesa.

In realtà, a1 di là del nomen (risparmio, rallentamento di dinamiche retributive, contributo, ecc.), si tratta di un vero e proprio prelievo forzoso di somme stipendiali a copertura di fabbisogni finanziari indifferenziati dello Stato apparato” (ordinanza n. 74/2012 TAR Trento).

Sussistono, pertanto, a parere del G.U., gli elementi basilari per qualificare quella in esame, quale disposizione tributaria, ovvero l’ablazione di somme trattenute da parte dell’erogatore del trattamento e da costui successivamente versate nelle casse dell’Erario e la destinazione delle somme in questione all’apprestamento di mezzi necessari al fabbisogno dello Stato (C. Cost., sent. n. 11/1995). Invero -come diffusamente osservato da parte ricorrente- le trattenute da effettuare autoritativamente e senza sinallagmaticità sui trattamenti pensionistici indicati dalla surriportata disposizione nel triennio ivi indicato, sono finalizzate -come espressamente previsto sia nel preambolo del D.L. 78/2011 e sia nel comma 22 bis dell’art. 18- al raggiungimento di “obiettivi di finanza pubblica” e di finalità di “stabilizzazione finanziaria”, da realizzarsi mediante il minor depauperamento dell’Erario risultante dall’erogazione di importi pensionistici pubblici di inferiore importo.

Tuttavia, i pesanti sacrifici imposti dalla legge gravano soltanto su alcune categorie di pensionati, lasciando inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le oltre categorie dei settori previdenziali privato ed autonomo: categorie tutte caratterizzate dall’unitarietà riconducibile al principio costituzionale di tutela dei pensionati, appunto.

Invero, nonostante sia ben noto ed ormai acquisito il principio dello possibilità di una disciplina differenziata del rapporto previdenziale pubblico rispetto a quello privato -in quanto il processo di omogeneizzazione dei due settori incontra il limite costituito dalla necessità di razionalizzare il costo del personale, anche sotto il profilo previdenziale, contenendone la spesa complessiva, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica- nel caso di specie, tuttavia, non si tratta di misure inerenti una diversa disciplina dei soli trattamenti previdenziali pubblici, attraverso raffreddamento o rideterminazione in pejus dei livelli pensionistici, ma di un vero e proprio prelievo fiscale imposto non a tutti i pensionati, ma esclusivamente o quelli pubblici, nonostante unica ed omogenea sia, sul piano causale ed eziologico, lo fonte del prelievo.

Quindi, il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., valido per tutte le categorie di cittadini, va coordinato con i principi di eguaglianza, parità di trattamento e capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.). Quindi, la scelta de qua, rientrante senz’altro nello discrezionalità del legislatore, avrebbe dovuto essere esercitata entro i limiti fissati dogli artt. 3 e 53 Cost. in punto di uguaglianza, ragionevolezza, equità, proporzionalità e rispetto del principio di capacità contributiva.

Come giustamente ricordato dal TAR-Trento nello surrichiamata ordinanza n. 74/2012, “analoga questione è già stata posta, negli stessi termini, con riferimento od altra nota e storica ‘manovra di bilancio’ del nostro Paese, approntata nel 1992 con il decreto-legge n. 384 di quell’anno per far fronte ad un’altra situazione emergenziale altrettanto grave quanto la attuale. Tale questione era stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza 14 luglio 1999, n. 299, nel rilievo che “questa Corte ha già affermato che il decreto-legge n. 384 del 1992 è stato emanato in un momento assai delicato per la vita economico-finanziaria del Paese, caratterizzata dallo necessità di recuperare l’equilibrio di bilancio … che per esigenze così stringenti il legislatore ha imposto a tutti sacrifici anche onerosi (sentenza n. 245 del 1997) e che norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all’art. 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza)”. Tuttavia, la stessa Corte ha precisato -in quel frangente ed anche in altri, definiti con l’ordinanza n. 341/2000 e con la sentenza n. 92/1963 richiamate da parte ricorrente- che il sacrificio economico richiesto dal provvedimento legislativo deve avere carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario e consentaneo allo scopo prefisso, cioè, non solo dev’essere limitato ad un ristretto periodo di tempo, ma anche deve essere razionalmente ripartito fra categorie diverse di cittadini, giacché, in coso contrario, ne resterebbe violato il principio, desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., dell’obbligo generale dei cittadini, improntato al principio di uguaglianza, di concorrere alle spese pubbliche in ragione della specifica capacità contributivo.

Nel coso all’esame, invece, risultano violati, ad avviso del G.U., i parametri costituzionali (ortt. 3, 36 e 53 dello Costituzione) sotto il profilo della disparità di trattamento e della sproporzione ed irrazionalità della misura, non essendo state colpite le oltre categorie di pensionati, pur se percettori di elevati trattamenti, e tonto meno i contribuenti in generale titolari degli stessi redditi.

In altri termini: imponendo l’esaminato prelievo ai soli pensionati pubblici percipienti trattamenti di importi superiori ai 90,000/150,000/200.000 €, con immotivata ed irrazionale esclusione delle pensioni di analogo ammontare ma relative ai settori privato ed autonomo e -comunque- di quelle di diverso ammontare, lo disposizione in esame non appare idonea a garantire risparmi di spesa o introiti tali da realizzare significativamente l’obiettivo di stabilizzazione della finanza pubblica che la manovra complessivamente si propone, bensì si presenta come una irrazionale ed immotivata, ma soprattutto discriminatoria, imposizione di un sacrificio economico ad una ben preciso e limitata categoria di soggetti, anziché alla collettività nel suo insieme, beninteso nel rispetto del principio di proporzionalità, con lo conseguenza che ne risultano lesi i principi solidaristico, di uguaglianza e di assoggettamento al prelievo fiscale in proporzione della capacitò retributiva (orti. 2, 3 e 53 Cost.).

Parte ricorrente lamenta, altresì -secondo orientamento già fatto proprio dal TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria nell’ordinanza n. 89/2012- che la lesione dei principi in parola emerge evidente in ragione del fatto che viene sottoposto a prelievo uno categoria di sicura “tassabilità” per via della garanzia della ritenuta alla fonte e che, al di là di ogni altra giustificazione ravvisabile nella ratio dell’istituto, il ricorso al prelievo fiscale è indotto dall’incapacità (tecnica o politica) di perseguire l’evasione fiscale, con conseguente vantaggio di fatto per le pensioni non derivanti da lavoro dipendente nel settore pubblico. Anziché impegnarsi nella predisposizione di strumenti fiscali efficaci nella prevenzione di tale fenomeno, il Legislatore avrebbe inspiegabilmente ed ingiustificatamente aumentato gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di pensionati, colpevoli unicamente di appartenere al settore pubblico e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente “attaccabili”.

5. Per quanto sin qui osservato, la norma all’esame risulta lesiva anche dei principi contenuti nell’art. 42, comma 3°, e 97, comma 10°, Cost., cioè, rispettivamente, del principio di espropriabilità della proprietà privata -che nel caso che si esamina ha ad oggetto il bene fungibile costituito dal denaro- per ragioni d’interesse generale ma ad opera di provvedimenti della P.A. e nel rispetto di norme di legge e di regole di buon andamento dell’azione amministrativa, nonché -e di conseguenza- del principio di imparzialità della medesima azione amministrativa. Invero, l’art. 18, comma 22 bis, D.L. n. 78/2011 colpisce, con intervento ablatorio legislativo e non amministrativo, una determinata categoria di soggetti, in assenza di previa valutazione, mediante adeguata istruttoria, degli interessi coinvolti e senza che sia prevista la corresponsione di un’indennità di ristoro -ovviamente non di tipo economico- in favore di chi subisce l’imperativa sottrazione, laddove l’accurato esame degli interessi in gioco e la ponderata decisione della misura e delle modalità del sacrificio secondo il principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cast.) non può non valere anche per il legislatore-amministratore.

6. Va, peraltro, rilevato -come già condivisibilmente statuito nell’ordinanza n. 89/2012 del TAR Calabria Sez. Reggio Colabria- che non si ritiene di poter condividere il motivo di censura secondo cui, in violazione degli art. 41 e 97 Cost., la disposizione qui esaminata introduce effetti distorsivi della concorrenza perché, in virtù delle differenze di trattamento più volte enunciate tra settore pubblico e settore privato, rende maggiormente appetibile, rispetto a prima, quest’ultimo, con conseguente depauperamento delle risorse pubbliche (a seguito dell’emigrazione di professionalità o della necessità di aumentare le retribuzioni sotto altri profili, per difenderne lo competitività).

“La censura è prospettata con genericità, in via meramente ipotetica e trascura di porre adeguatamente in rilievo tutti i termini di comparazione tra le due grandezze di riferimento, nelle quali confluiscono anche valori diversi dalla mera retribuzione, come il senso di servizio verso le Istituzioni, il prestigio dell’attività, la sicurezza nell’impiego” (ordinanza n. 89/2012 del TAR Calabria Sez. Reggio Calabria).

7. Infine, il G.U. ritiene di non poter neppure procedere all’esame della domanda, formulato dal difensore del ricorrente nel corso dell’odierna udienza, di parziale accoglimento del gravame, in quanto tale istanza è stata avanzata in modo del tutto generico, senza, cioè, che ne venissero specificati petitum e causa petendi, elementi fondamentali affinché si posso effettuare l’esame in sede giurisdizionale di qualsivoglia istanza, domanda, eccezione o deduzione.

8. Tonto premesso, in applicazione dell’art. 23 della I. cost. n. 87/1953, riservata ogni altra decisione all’esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, il G.U. solleva l’incidente di costituzionalità dell’art. 18, comma 22 bis, D.L. 06-07-2011 n. 98, convertito, con modificazioni. in L. 15-07-2011 n. 111 con riferimento agli artt. 2, 3, 53, 42 e 97 Cost. per le ragioni che precedono, con rimessione degli atti alla Corte Costituzionale.

P.Q.M.

La Corte dei conti

Sezione Giurisdizionale per la Campania

In composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico consigliere Rossella Cassaneti. dichiara rilevante per lo decisione del ricorso e non manifestamente infondata lo questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 22 bis, D.L. 06-07-2011 n. 98, convertito, con modificazioni. in L. 15-07-2011 n. 111 per violazione degli artt. 2, 3, 53, e 97 Cost., conseguentemente

disponendo lo sospensione del giudizio e lo trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.

Così deciso in Napoli, nella pubblica udienza del 31 maggio 2012.

IL GIUDICE UNICO

Rossella Cassaneti

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 20 LUG. 2012

Il Direttore dello segreteria