La sentenza della Corte Costituzionale n. 173 del 2016
La Corte Costituzionale ha respinto l’ eccezione di incostituzionalità sul contributo di solidarietà con la sentenza n. 173/16, che qui di seguito si trascrive con tutti i rimandi alle leggi e sentenze citate in motivazione.
Si tratta di una sentenza assai articolata e complessa.
Abbiamo omesso tutte le questioni procedurali (superflue) per concentrare la lettura solo sul merito.
La sentenza nel suo testo integrale può essere comunque scaricata cliccando qui.
Corte Costituzionale 13/07/2016 n. 173
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 483, 486, 487 e 590, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, con ordinanza del 16 febbraio 2015, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con ordinanza del 23 marzo 2015, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Calabria, con ordinanze dell’11 febbraio e 16 marzo 2015, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, con ordinanza del 22 aprile 2015 e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con ordinanza del 23 settembre 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 65, 91, 109, 119, 163 e 340 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17, 21, 24, 25 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2015 e n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di B.M. ed altri, di A.A. ed altro, di S.S., di G.D., di S.M.A., di M.C.S. ed altri, fuori termine, dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), e gli atti di intervento di P.F. ed altri e di P.V., fuori termine, e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Giovanni C. Sciacca per G. D., per S.M.A. e per P.F. ed altri, Vincenzo Petrocelli per P.V.,Vittorio Angiolini per B. M. ed altri, Federico Sorrentino per A. A. ed altro, Luigi Adinolfi per S. S., Filippo Mangiapane per l’INPS e gli avvocati dello Stato Federico Basilica e Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
[omissis]
Considerato in diritto
[omissis]
5. – Superano, dunque, il vaglio di ammissibilità le sole questioni di legittimità costituzionale concernenti i commi 483 e 486 dell’art. 1 della legge 147 del 2013.
6. – Il comma 483 è denunciato unicamente dalla sezione giurisdizionale per la Calabria (r.o. n. 109 e n. 119 del 2015), «per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione, nonché con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (artt. 6, 21, 25, 33, 34), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo».
6.1. – La disposizione così sottoposta a scrutinio di costituzionalità riconosce, per il triennio 2014-2016, la «rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici»in misura progressivamente decrescente dal 100 al 40 per cento, in corrispondenza all’importo del trattamento pensionistico, rispettivamente, superiore da tre a sei volte (per il solo anno 2014) il trattamento minimo INPS.
6.2. – Secondo la rimettente tale disposizione sarebbe censurabile per le medesime ragioni (dissimulazione di un ulteriore prelievo fiscale a carico dei soli pensionati) già poste a base di precedente denuncia di illegittimità costituzionale dell’analogo art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
6.3. – La questione – inammissibile in riferimento ai parametri europei, qui evocati dal giudice a quo in assenza di qualsiasi motivazione in ordine alla (solo) asserita loro violazione (sentenze n. 70 del 2015, n. 158 del 2011, ex plurimis) – è, nel merito, non fondata.
È pur vero, infatti, che la limitazione della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici, per il biennio 2012-2013, di cui al citato art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011 è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 70 del 2015.
Ma questa stessa sentenza (al punto 7 del Considerato in diritto ) ha sottolineato come da quella norma (prevedente un “blocco integrale” della rivalutazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo) si “differenzi” (non condividendone, quindi, le ragioni di incostituzionalità) l’art. 1, comma 483, della legge 147 del 2013, il quale viceversa, «ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell’applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l’azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014», ispirandosi «a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescienza».
7. – Residua, da ultimo, la verifica di costituzionalità del comma 486, su cui soprattutto si concentra l’interesse dei giudici a quibus.
7.1. – Aggregate per profili di identità, di (anche solo parziale) sovrapposizione o, comunque, di complementarietà – ed unitariamente quindi valutate – le plurime censure rivolte, con le sei ordinanze di rimessione, al “contributo di solidarietà”, che l’impugnato comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 pone, per un triennio, a carico dei titolari di «trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie» complessivamente superiori da quattordici a trenta volte il trattamento minimo INPS, innescano altrettante questioni di legittimità costituzionale.
Le quali, coordinate in scala di logica consequenzialità, possono, a loro volta, così riassumersi.
Se il “contributo di solidarietà” qui oggetto di scrutinio, violi:
a) l’art. 136 Cost., in ragione della sostanziale «identità della fattispecie normativa prevista dal comma 486 rispetto a quella dell’art. 18, comma 22-bis, del D. L. 6 luglio 2011 n. 98, a suo tempo dichiarato illegittimo dalla Corte», con la ricordata sentenza n. 116 del 2013 (così, in particolare, ordinanza di rimessione n. 109 del 2015);
b) gli artt. 3 e 53 Cost., trattandosi, al di là del nomen iuris, di un (mascherato) prelievo tributario, risolventesi – al pari del cosiddetto contributo di perequazione di cui al citato art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), come convertito – in «un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini»;
c) gli artt. 3 e (secondo la sezione giurisdizionale per la Regione Calabria) 81 e 97 Cost. (quest’ultimo parametro evocato anche dalla sezione per la Regione Campania), poiché (ove anche configurato come prestazione imposta ai fini di solidarietà endoprevidenziale) il contributo in questione risulterebbe comunque connotato dalla «vaghezza della formulazione legislativa [che] costituisce un indizio della sua irrazionalità non essendo chiarito, ad esempio, quali siano i criteri attraverso i quali le somme derivanti dai contributi di solidarietà saranno destinate ad aiutare i titolari di pensioni più basse ma con quali criteri oppure se serviranno anche per fronteggiare i disavanzi della disoccupazione e della cassa integrazione INPS che sono per lo più alimentati dallo Stato ovvero, ancora, se una parte del ricavato (peraltro indeterminata e mai quantificata) possa essere utilizzata per il cosiddetto Fondo INPS per gli esodati»;
d) gli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., poiché – non costituendo il prelievo de quo, un contributo di solidarietà (per superamento dei limiti intrinseci che dovrebbero connotare un siffatto contributo), né una riduzione del trattamento di quiescenza conseguente ad una modifica normativa del sistema pensionistico – esso si configurerebbe come una mera ablazione del trattamento di quiescenza dei pensionati incisi, in contrasto con i principi di razionalità-solidarietà, oltre che di adeguatezza pensionistica e della proporzionalità con l’attività lavorativa prestata ed i contributi pagati, risultando, altresì, leso anche il “principio dell’affidamento”, per non essere ragionevole la riduzione del trattamento pensionistico operata nella specie;
e) l’art. 3 (primo comma) Cost., in ragione della diversa disciplina del comma 486 rispetto a quella – più favorevole in ordine al quantum del prelievo – introdotta dalla Regione Sicilia con l’art. 22 della legge 12 agosto 2014, n. 21 (Assestamento del bilancio della Regione per l’anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie).
8. – Venendo allo scrutinio delle questioni così elencate, deve, in primo luogo, escludersi che sussista la denunciata violazione dell’art. 136 Cost.
Il “contributo di solidarietà” ora in contestazione non colpisce, infatti, le pensioni erogate negli anni (2011-2012), incise dal precedente contributo perequativo, dichiarato costituzionalmente illegittimo in ragione della sua accertata natura tributaria e definitivamente, quindi, caducato (e conseguentemente recuperato da quei pensionati) per effetto della sentenza di questa Corte n. 116 del 2013; colpisce, invece, sulla base di differenti presupposti e finalità, pensioni, di elevato importo, nel successivo periodo, a partire dal 2014.
E tanto esclude che la disposizione sub comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 sia elusiva del giudicato costituzionale (rappresentato dalla suddetta sentenza), atteso appunto, che l’odierna disposizione non disciplina le stesse fattispecie già regolate dal precedente art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, né surrettiziamente proroga gli effetti di quella norma dopo la sua rimozione dall’ordinamento giuridico (vedi sentenza n. 245 del 2012).
Ragione per cui ciò che, a questo punto, resta da valutare è se la riproposizione, per il futuro, di una forma di prelievo, che si denuncia “analoga” a quella rimossa con la citata sentenza n. 116 del 2013, non violi, a sua volta, gli artt. 3 e 53 della Costituzione.
9. – Neppure i suddetti parametri possono dirsi, però, vulnerati dalla disposizione in esame.
E ciò per il motivo, assorbente, che il contributo, che ne forma oggetto, non riveste la natura di imposta, attribuitagli dai rimettenti quale presupposto per il sollecitato controllo di compatibilità con il precetto (altrimenti non pertinente) di cui all’art. 53, in relazione all’art. 3 Cost.
Il prelievo istituito dal comma 486 della norma impugnata non è configurabile, infatti, come tributo non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti “esodati”.
Si tratta, del resto, di una misura non strutturalmente dissimile – come sottolineato dalla difesa dello Stato – da quella a suo tempo introdotta dall’art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2000), il quale analogamente disponeva che «A decorrere dal 1º gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo previsto dall’art. 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è dovuto, sulla parte eccedente, un contributo di solidarietà nella misura del 2 per cento […]».
Norma, quest’ultima, che questa Corte ebbe a ritenere non in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto «volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale» (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure contraria agli artt. 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 160 del 2007).
10. – Si è dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003).
11. – Resta allora da verificare se il contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, come disciplinato dal censurato comma 486, risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tenendo conto dell’esigenza di bilanciare la garanzia del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti.
11.1. – In linea di principio, il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.), il cui rispetto è oggetto di uno scrutinio “stretto” di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà.
In tale prospettiva, è indispensabile che la legge assicuri il rispetto di alcune condizioni, atte a configurare l’intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile.
Il contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori – endogeni ed esogeni (il più delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico) – che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato (sentenze n. 69 del 2014, n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis).
L’effettività delle condizioni di crisi del sistema previdenziale consente, appunto, di salvaguardare anche il principio dell’affidamento, nella misura in cui il prelievo non risulti sganciato dalla realtà economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli.
Anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza.
Il prelievo, per essere solidale e ragionevole, e non infrangere la garanzia costituzionale dell’art. 38 Cost. (agganciata anche all’art. 36 Cost., ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale: sentenza n. 116 del 2010), non può, altresì, che incidere sulle “pensioni più elevate”; parametro, questo, da misurare in rapporto al “nucleo essenziale” di protezione previdenziale assicurata dalla Costituzione, ossia la “pensione minima”.
Inoltre, l’incidenza sulle pensioni (ancorché) “più elevate” deve essere contenuta in limiti di sostenibilità e non superare livelli apprezzabili: per cui, le aliquote di prelievo non possono essere eccessive e devono rispettare il principio di proporzionalità, che è esso stesso criterio, in sé, di ragionevolezza della misura.
In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum.
11.2. – Tali condizioni appaiono, sia pur al limite, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame.
Come detto, esso opera all’interno del sistema previdenziale, che concorre a finanziare, in un contesto di crisi del sistema stesso, acuitasi negli ultimi anni, per arginare la quale il legislatore ha posto in essere più di un intervento, contingente o strutturale, tra cui, in particolare, proprio quelli per salvaguardare la posizione dei lavoratori cosiddetti “esodati” (da ultimo, commi da 263 a 270 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015).
Inoltre, il contributo riguarda le pensioni più elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti (del 6, 12 e 18 per cento), secondo una misura che rispetta il criterio di proporzionalità e, in ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di siffatte pensioni.
In questi termini, l’intervento legislativo di cui al denunciato comma 486, nel suo porsi come misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, supera lo scrutinio “stretto” di costituzionalità.
12. – Anche sotto il profilo della violazione dell’art. 3 Cost. in riferimento al tertium rappresentato dal comma 487 della stessa legge n. 147 del 2013 e, per il suo tramite, dalla legislazione siciliana, la questione non è fondata, giacché evoca un termine di raffronto (il comma 487) non idoneo a radicare un giudizio di eguaglianza, concernendo questo le misure di risparmio di spesa rimesse all’autonomia di organi costituzionali e di Regioni ad autonomia speciale rispetto a soggetti che non fanno parte del circuito della previdenza obbligatoria (in particolare, per ciò che concerne la Regione siciliana opera il Fondo di quiescenza di cui alla legge regionale 14 maggio 2009, n. 6, recante: «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009») e, dunque, non suscettibile di raffronto con i pensionati di cui al comma 486.
13. – Non si ravvisa, infine, nemmeno la dedotta violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in quanto il primo parametro invocato non risulta conferente, disciplinando la disposizione censurata non già una nuova spesa o maggiori oneri, ma un’entrata; mentre la destinazione alle gestioni previdenziali del prelievo, e dunque per fini istituzionali delle stesse (e anche per il finanziamento di misura a favore degli “esodati”), non costituisce arbitraria attribuzione di discrezionalità amministrativa (art. 97 Cost.) alle stesse gestioni previdenziali o, comunque, indifferenziata destinazione di spesa (art. 81 Cost.).
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 36 e 38 della Costituzione, dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, con le due ordinanze in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 486, della legge n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli art. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 Cost., dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per le Regioni Veneto, Campania, Calabria e Umbria, con le sei ordinanze in epigrafe indicate;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013, sollevata dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con le due ordinanze in epigrafe;
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 487, della legge n. 147 del 2013, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 Cost., dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, con le due ordinanze in epigrafe;
5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 590, della legge n. 147 del 2013, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria, con le due ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2016.
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2016.