Sommario:
La giurisprudenza sulle Casse Professionali
La questione è controversa, ed è tecnicamente assai complessa.
Sostanzialmente la giurisprudenza (ma con varie sfumature) afferma che:
- La Legge n. 335 del 1995. art. 3, comma 12 avrebbe attribuito alle Casse Privatizzate anche il potere di derogare alle leggi. Senonchè tale norma è stata novellata ed altresì oggetto di interpretazione autentica;
- Di conseguenza, in virtù di questo potere di “delegificazione”, i Regolamenti della Cassa, poi approvati con Decreto Ministeriale ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, possono derogare alle leggi, senza che questo costituisca una alterazione dei principi sulla gerarchia delle fonti;
- Però questo potere di deroga non sarebbe assoluto, ma sussisterebbe solo in presenza di determinati presupposti, altrimenti la deroga sarebbe illegittima;
La versione attuale
- La norma di cui alla Legge n. 335 del 1995. art. 3, comma 12, nella versione attuale (con formulazione tormentata), attribuisce questo potere ai “provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”.
- Per essere più completi, il testo completo del suddetto comma 12, nella sua formulazioni oggi vigente, è il seguente:
“Nel rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’ articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni. Il bilancio tecnico di cui al predetto articolo 2 , comma 2, è redatto secondo criteri determinati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le associazioni e le fondazioni interessate, sulla base delle indicazioni elaborate dal Consiglio nazionale degli attuari nonché dal Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP). In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2 , comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito l’ente interessato e la valutazione del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, possono essere adottate le misure di cui all’ articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509. Nei regimi pensionistici gestiti dai predetti enti, il periodo di riferimento per la determinazione della base pensionabile è definito, ove inferiore, secondo i criteri fissati all’art. 1, comma 17, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive e al medesimo art. 1, comma 18, per gli altri enti. Ai fini dell’accesso ai pensionamenti anticipati di anzianità, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 1, commi 25 e 26, per gli enti che gestiscono forme di previdenza sostitutive, e al medesimo art. 1, comma 28, per gli altri enti. Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge”. La versione storica
- In precedenza questa norma prevedeva (fino alla formulazione vigente fino al 9 gennaio 2007) che gli enti privatizzati adottassero “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”;
- Sostanzialmente questi interventi in deroga sarebbero consentiti (anche se non in tutte le fattispecie) in materia di contributi e di prestazioni;
- Non sarebbero invece consentiti intereventi derogatori in altre materie, come già affermato dalla giurisprudenza, per esempio:
- in tema di sanzioni amministrative (Cass. 22/03/2022, n.9310)
- o di contributo di solidarietà (Cass.9 dicembre 2020, n. 28054), “essendo la materia soggetta alla riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost.”
Poichè l’esame approfondito di questa complessa questione richiederebbe un studio che esula dalle dimensione e dallo scopo di questo articolo, abbiamo deciso di fare riferimento alle motivazioni di alcune sentenze contrapposte della cassazione, riservandoci un maggiore approfondimento in altra sede.
Vediamo dunque le motivazioni di queste sentenze nei loro passaggi più importanti.
L’orientamento a favore della possibilità di deroga
(Cass. 2021 n. 544)
La problematica generale è ben motivata dalla Cassazione in questa sentenza relativa alla Cassa Forense, sulla annosa questione del diritto alla restituzione dei contributi (Cass. 14/01/2021 n. 544).
Trascriviamo qui la motivazione, con i link alle norme ed alle sentenze citate.
- la questione dedotta attiene alla estensione dei poteri regolamentari riconosciuti alla Cassa di previdenza ricorrente, con particolare riferimento ai possibili suoi effetti derogatori, rispetto alla disciplina legale del rapporto contributivo (L. n. 576 del 1980) vigente anteriormente alla privatizzazione, con particolare riferimento al diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati nell’ipotesi in cui l’iscritto si cancelli dalla Cassa senza aver acquisito il diritto a pensione;
- quanto all’efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle fonti, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 1 e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, questa Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 24202 del 16 novembre 2009, seguita, tra le altre, da Cass. 12209/2011, Cass. 19981/2017 e da Cass. n. 3461/2018;
- si è, dunque, affermato un orientamento, cui si intende dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo come interpretato dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che:
- il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale;
- tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione (oggi più penetranti per effetto della L. n. 111 del 2011, art. 14) in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei Conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 56: dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale, come affermato da Corte costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento (vedi Corte Cost. n. 340 del 24 luglio 2000);
- il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio (vd. Corte Cost. n. 15/1999), ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva (vd. Cass. n. 29829 del 19 dicembre 2008; 15135/2014);
- l’operatività di tale delegificazione all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 254/2016 in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo all’art. 3 Cost., tra l’altro, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 1, comma 4, art. 2, comma 2 e art. 3, comma 2, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32 e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12, in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008. La citata ordinanza, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione relativa alla “sostanziale delegificazione” della materia, ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di “delegificazione” (Corte Cost. n. 427 del 2000) e, proprio con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di “delegificazione”, la garanzia costituzionale va ricercata, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono, o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso (Corte Cost. n. 427 del 2000);
- la delegificazione, dunque, realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare della Cassa nella materia indicata nella L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che, nel testo vigente al momento in cui fu modificato l’art. 49 del Regolamento generale (Delib. c.d.a. della Cassa n. 133 del 2003, approvata dai Ministeri vigilanti con comunicato pubblicato su G.U. n. 244 del 16 ottobre 2004) prevedeva che gli enti privatizzati adottassero “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”;
- la questione, poi, della vigenza della L. n. 576 del 1980, art. 21, a seguito dell’esercizio della potestà regolamentare da parte della Cassa è stata più volte affrontata da questa Corte di legittimità con arresti che possono definirsi consolidati attraverso i quali si è affermato che la CNPAF, nell’esercizio della propria autonomia che la abilita a derogare od abrogare disposizioni di legge in funzione dell’obbiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, può adottare misure prevedenti, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la facoltà di optare per il sistema contributivo a condizioni di maggior favore per gli iscritti, stabilendo, al contempo, la non restituibilità dei contributi legittimamente versati, con abrogazione della precedente disposizione di cui alla L. n. 570 del 1980, art. 21, nel rispetto dei limiti dell’autonomia degli enti (quali la previsione tassativa dei tipi di provvedimento che gli enti sono abilitati ad adottare ed il principio del “pro rata”), senza che ne consegua la lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. (Principio applicato con riferimento all’irripetibilità dei contributi versati non utilizzati a fini pensionistici, prevista dall’art. 4 del regolamento della Cassa, come modificato con la Delib. 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati ed approvata dai Ministeri vigilanti) (Cass. 16 novembre 2009, n. 24202);
- l’abrogazione della L. n. 576 del 1980, art. 21, ad opera dell’art. 4 del citato Regolamento è dunque giustificata dalla delegificazione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che, nella sua originaria formulazione, attribuisce agli enti previdenziali privatizzati il potere di adottare atti idonei ad incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata (Cass. 2 marzo 2018, n. 4980; Cass. n. 19255 del 2019);
- il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, affinchè esamini, alla luce dei principi sopra indicati, la concreta fattispecie anche quanto all’accertamento delle condizioni per l’applicabilità del regime transitorio derivante dalla riformulazione dell’art. 4 del Regolamento della Cassa, a seguito della Delib. Comitato dei delegati 13 novembre 2004.
L’orientamento contrario:
Cass. 13/11/2014, n. 24221 (Amoroso)
Vas segnata, anche se più risalente, la pregevole sentenza Cass. 13/11/2014, n. 24221, che è stata redatta dall’attuale Giudice Costituzionale Giovanni Amoroso, già Presidente della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.
I brani essenziali della motivazione sono i seguenti.
Cass. 13/11/2014, n. 24221:
“Successivamente il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, ha trasformato in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, tra cui la Cassa suddetta.
In particolare tale decreto legislativo, in questo contesto profondamente riformato, ha posto alle nuove Casse “privatizzate” l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con il predetto D.Lgs., art. 2, comma 2 e art. 3, comma 2, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa e le delibere in materia di contributi e prestazioni che si saldavano al decreto ministeriale di approvazione) ad introdurre norme generali ed astratte.
A tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti” (Cass. sez. lav. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto che essa poteva avvenire “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti”.
In realtà occorre tener conto del carattere tutt’affatto speciale dei regolamenti di delegificazione previsti in generale, e disciplinati nella formazione, dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, e “destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatoci della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite” (C. cost. n. 376 del 2002).
Tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale di tal che la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione.
Si ha pertanto che, quando il legislatore “delegante” ha inteso assegnare alla fonte subprimaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente (ad es. per i regolamenti di organizzazione degli enti pubblici non economici di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 27, facoltizzati a dettare norme “anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano”).
Ciò invece l’art. 2, comma 2, cit. in realtà non ha affatto previsto e quindi l’emanando Regolamento della Cassa e le sue delibere in materia di contributi e prestazioni non erano facoltizzati a derogare a disposizioni dettate proprio per le Casse “privatizzate”, quale poi sarebbe stato la L. n. 335 del 1995. art. 3, comma 12, che costituisce il riferimento normativo centrale per l’esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate.
Ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l’opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763) e nient’affatto il Regolamento della Cassa.
I principi generali sui poteri di “delegificazine” dei Regolamenti
La Dottrina
Come è stato osservato in dottrina (Bin – Pitruzzella, “Diritto Costituzionale“, 2017, pag. 418), in questo caso “è la legge ordinaria a disporre l’abrogazione della legislazione precedente, facendo però decorrere l’effetto abrogativo dalla data di entrata in vigore del Regolamento, la cui emanazione essa autorizza” .
Il controllo di costituzionalità
I Regolamenti emanati ai sensi della Legge del 1988 n. 400, art. 17, sono sottratti al controllo della Corte Costituzionale, poichè non si tratta di atti con forza di legge, e sono rimessi solo alla valutazione del Giudice ordinario (Corte Costituzionale 07/04/2016 n. 81, sentenza n. 94 del 1964, ordinanza n. 484 del 1993).
La giurisprudenza
La materia è regolata dall’art. 17 delle Legge del 1988 n. 400, che al comma 2 riserva tale potere solo ai Decreti del Presidente della Repubblica (e non ai Decreti Ministeriali) e solo se prima “le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”.
La importante sentenza del Consiglio di Stato (CdS sez. VI, 18/02/2015, n.823) ha fissato alcuni importanti chiarimenti.
Riportiamo qui la sentenza 823/2015 anche per estratto sulla questione specifica.
In questi casi, come osservato dal Consiglio di Stato “l’esercizio della potestà normativa attribuita all’esecutivo, quando sia necessario e consentito, deve svolgersi con l’osservanza di un particolare modello procedimentale, secondo cui per i regolamenti di competenza ministeriale sono richiesti il parere del Consiglio di Stato, la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, il visto e la pubblicazione nella « Gazzetta Ufficiale»”.
Più diffusamente:
CdS sez. VI, 18/02/2015, n.823 (Estratto)
4.1.9. In generale, “i caratteri che, sul piano del contenuto sostanziale, valgono a differenziare i regolamenti dagli atti e provvedimenti amministrativi generali, vanno individuati in ciò, che quest’ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili.
I regolamenti, invece, sono espressione di una potestà normativa attribuita all’Amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano appunto i caratteri della generalità e dell’astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell’applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono.
Inoltre, ai sensi dell’art. 17 l. 23 agosto 1988 n. 400, l’esercizio della potestà normativa attribuita all’esecutivo, quando sia necessario e consentito, deve svolgersi con l’osservanza di un particolare modello procedimentale, secondo cui per i regolamenti di competenza ministeriale sono richiesti il parere del Consiglio di Stato, la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, il visto e la pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale”… ” (Cass. civ. , sez. III, n. 5062 del 2007; conf. Cass. civ. , sez. III, sent. n. 6933/1999 con cui la Suprema Corte, sulla base dei principi su esposti, ha escluso che integri un regolamento il decreto con cui il Ministro per l’industria aggiorna gli importi dei massimali minimi di legge in materia di assicurazione obbligatoria per la r.c.a., ai sensi dell’art. 9 della l. n. 990/1969, e ha precisato che tali decreti integrano soltanto atti amministrativi).
4.1.10.Nella specie il Legislatore, con atto avente valore di legge, ha autorizzato il Ministro per i beni e le attività culturali a determinare il compenso per copia privata con proprio decreto, in applicazione di criteri determinati con atto avente valore di legge e nell’esercizio di poteri contrassegnati da discrezionalità tecnica, con riferimento a ciascuna delle singole tipologie di apparecchi e di supporti per le quali il compenso va corrisposto (nel rispetto, peraltro, come si dirà meglio più avanti, di una disciplina procedimentale tale da circoscrivere in concreto la discrezionalità spettante al Ministro), con il conseguente superamento della disciplina transitoria di cui all’art. 39 del d. lgs. n. 68/2003, disposizione con la quale le misure del compenso per copia privata erano state fissate in via diretta con un’efficacia, però, delimitata, dal punto di vista temporale, fino all’emanazione del decreto indicato dal citato art. 71 -septies, comma 2.
4.1.11.Con una disposizione avente forza e valore di legge è stato cioè conferito al Ministro il potere -concretizzabile nell’adozione di un provvedimento avente effettivamente natura non regolamentare- di stabilire l’entità del “prelievo per copia privata” applicabile agli apparecchi, ai supporti e ai dispositivi enumerati all’art. 2 del DM, questo e non altro essendo il contenuto sostanziale del decreto contestato dinanzi al giudice amministrativo, senza che l’intervento del Ministro nella materia della fissazione del compenso per copia privata dovesse sostanziarsi in un regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, commi 3 e 4, della l. n. 400/1988.
4.1.12. In tema di abrogazione con effetto delegificante della disciplina transitoria di cui all’art. 39 del d. lgs. n. 68/2003 non va posto l’accento su natura e collocazione, nella gerarchia delle fonti, dell’atto, governativo o ministeriale, abilitato dalla legge a stabilire nuove misure del compenso per copia privata, superandosi così la disciplina transitoria in precedenza stabilita con disposizione primaria. Occorre invece considerare natura e collocazione gerarchica -in questo caso, primaria- della fonte che ha consentito l’effetto “delegificante”.
4.1.13.L’eventuale natura regolamentare del DM non è quindi desumibile, di per sé, dalla sua capacità di far venire meno la disciplina transitoria recata dall’art. 39 del d. lgs. n. 68/2003 atteso che quell’effetto deriva in modo diretto da un’espressa previsione di rango primario.
4.1.14. Senza considerare che, di recente, avviene sempre più spesso che con norma di legge si affidi a decreti aventi natura non regolamentare la possibilità, ad esempio, di prorogare in via ulteriore termini stabiliti con legge (v. , ad esempio, l’art. 1 del d. l. n. 225/2010).
4.1.15.Come è stato correttamente posto in risalto nelle sentenze impugnate, e diversamente da quanto è stato affermato dalle parti appellanti, il DM adottato, sul piano sostanziale non ha innovato l’Ordinamento giuridico essendosi limitato soltanto -sulla base di una disciplina della materia del compenso per copia privata delineata con norma di legge (v. art. 71 -septies della LDA) in modo sufficientemente specifico, fermo l’affidamento della determinazione del compenso a un successivo DM da emanare nel rispetto di una ben definita procedura- a precisare, appunto, l’importo del compenso dovuto per copia privata, in applicazione di criteri determinati con atto avente valore di legge ed esercitando come detto una discrezionalità tecnica “comunitariamente giustificata” riferibile a ognuna delle tipologie di apparecchi, supporti e dispositivi enumerati all’art. 2 dell’Allegato tecnico al decreto e per i quali va corrisposto il compenso, senza alcuna capacità di innovare l’ordinamento giuridico.
4.1.16.Sul carattere sufficientemente delineato della disciplina legislativa in materia vanno condivise in particolare le affermazioni del Tar secondo le quali “gli artt. 71 sexies, septies e octies della L. n. 633/41, come novellata dal D. Lgs. n. 68/03, disciplinano compiutamente la materia” e “in sostanza, dunque, tutta la disciplina della materia è contenuta nel testo di legge (indicando la legge stessa la nozione di riproduzione privata per uso personale che dà diritto all’erogazione del compenso, l’identificazione dei soggetti beneficiari del compenso e di quelli tenuti al pagamento, l’indicazione degli apparecchi e dei supporti per i quali è dovuto il compenso, la distinzione tra apparecchi esclusivamente destinati alla riproduzione e tra quelli cosiddetti polifunzionali ed il diverso criterio per la quantificazione del compenso, la distinzione tra i diversi tipi di supporti, distinguendo ai fini della commisurazione del compenso tra supporti analogici, digitali, memorie fisse o trasferibili)…” .
4.1.17. Il carattere non innovativo del DM impugnato in primo grado dev’essere valutato in relazione alle categorie di apparecchi, supporti e dispositivi individuati dalla LDA e non avendo riguardo al regime transitorio di cui all’art. 39 del d. lgs. n. 68/2003.
4.1.18. Gli argomenti su esposti bastano per confutare le tesi delle appellanti. Non pare tuttavia superfluo aggiungere che se il regolamento, per la sua natura normativa, ha i caratteri della generalità e dell’astrattezza, e se il requisito della generalità si risolve nella indeterminabilità, sia a priori, sia a posteriori, dei destinatari dell’atto normativo (cfr. Cons. St. , Ad. plen. n. 9/2012), con riferimento al caso in esame il DM sembra rivolgersi non già alla generalità dei consociati ma a una cerchia di destinatari -vale a dire i soggetti tenuti al pagamento del compenso, ossia chi fabbrica o importa nel territorio dello Stato allo scopo di trarne profitto gli apparecchi e i supporti in questione (v. art. 71 -septies cit.)- determinabili a posteriori.
4.1.19. Infine, sul piano procedimentale il DM è stato preceduto da “sequenze” (in particolare, l’acquisizione dei pareri del Comitato consultivo e delle associazioni maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti, oltre al “modellamento procedurale” secondo lo schema tipico dei provvedimenti tariffari, correttamente citati nelle sentenze del Tar quali “elementi di paragone” cui assimilare il DM impugnato avendo il Mibac, nel corso dell’istruttoria preparatoria all’adozione del decreto, commissionato indagini di mercato ed effettuato una ricognizione della situazione normativa ed economica relativa ai diritti di copia privata nei principali Paesi europei) del tutto peculiari che, oggettivamente, si discostano dalle regole procedimentali dettate all’art. 17 della l. n. 400/1988: perciò in modo tutt’altro che implausibile gli elementi procedimentali suindicati sono stati considerati, nelle sentenze impugnate, indicativi della natura non regolamentare del DM in questione.
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