La disdetta della Banca
Il recesso della Banca è avvenuto con lettera unilaterale, e non con un Accordo Sindacale.
Nella lettera del 28 giugno 2014 l’ Unicredit “comunica che dal 1° luglio 2014 le prassi/regolamenti aziendali relativi alle liberalità previste in favore del personale al raggiungimento del 25° e 35° anno di servizio effettivo sono da considerarsi decadute e pertanto, dalla predetta data, non produrranno più alcun effetto”.
La Cassazione ha però chiarito che gli usi aziendali, anche se derivanti da liberalità, non possono essere revocati unilateralmente, ma tutt’ al più con un accordo sindacale: Cass. 8 aprile 2010 n. 8342.
Secondo altre sentenze, addirittura, neppure l’ accordo aziendale potrebbe derogare all’ uso aziendale, poichè questo è ormai entrato a far parte del contratto individuale di lavoro: Cass. 13 dicembre 2012 n. 22927.
Nell’ Accordo Sindacale del 28 giugno 2014 comunque non si accenna a questa revoca dei premi di anzianità.
Per avere una panoramica completa dei premi di anzianità nelle varie Banche dell’ Unicredito si può utilmente consultare l’ apposito dossier della Fisac – Cgil nonchè quello della Fabi.Da parte sindacale si è subito voluto evidenziare (vedi volantino Falcri Silcea del 7 luglio 2014) che i suddetti premi di anzianità per loro natura sarebbero revocabili (“i premi di anzianità appartengono alla sfera delle liberalità aziendali e come tali sono revocabili unilateralmente dall’ Azienda”).
Non è così.
Lo dimostrano le sentenze di cassazione sopra riportate.
L’ inserimento del premio nel TFR
Il nostro Studio ha già vinto in Cassazione contro l’ Unicredit
la questione dell’ inserimento del premio di anzianità nel TFR, che era contestata dalla Banca (Cass. 6204 del 15 marzo 2010).
Anzi nell’ occasione la Cassazione ha imposto anche l’ inserimento del lavoro straordinario, delle ferie e delle festività non godute. Per informazioni clicca qui
Trascriviamo di seguito i brani più significativi delle due sentenze di Cassazione sopra citate:
1. Cass. 08/04/2010 n. 8342:
“la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento del datore di lavoro tenuto nei confronti dei propri dipendenti, che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi), integra, di per sè e indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda, e che sono definite tali perchè, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a realizzare un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (vedi Cass. n. 9690/1996; n. 10783/2000; n. 9626/2004; n. 15489/2007; Cass. Sez. Un., n. 26107/2007; Cass. n. 18991/2008; n. 17481/2009; n. 18263/2009).
2. Cass. 13/12/2012 n. 22927:
“E’ pacifico che per la formazione degli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali, è necessaria unicamente la sussistenza di una prassi generalizzata – che si realizza attraverso la mera reiterazione di comportamenti posti in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo – che riguardi i dipendenti anche di una sola azienda e che comporti per essi un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva; che le condizioni di miglior favore derivanti dai suddetti usi aziendali non possono essere derogate in peius per i lavoratori dalla contrattazione collettiva, atteso che gli usi si inseriscono nei singoli contratti individuali e non già nei contratti collettivi nazionali o aziendali, e che l’esclusione di tale inserzione può avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti.”